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Portata in Libia dal papà e mai più tornata in Italia: la storia della piccola Hager e di mamma Federica

Il 29 gennaio, per il quinto compleanno della piccola Hager, la sua mamma, i suoi familiari e i suoi amichetti dell'asilo si sono ritrovati al parco, e hanno lanciato in aria dei palloncini augurandole buon compleanno. Solo che Hager non era lì. 

Dal 9 marzo scorso, la piccola Hager si trova in Libia, portata lì da suo padre, Mohamed, e mai più tornata indietro alla sua casa natale, e all'abbraccio di sua madre Federica. Doveva essere un viaggio breve per andare a salutare il nonno paterno che non stava bene. «Massimo due settimane», si era raccomandata mamma Federica, che non era mai stata così a lungo separata dalla sua bambina. Ma le settimane sono diventate mesi e le videochiamate e i messaggi, dapprima quotidiani, si sono diradati nel tempo, fino a che non si è interrotta ogni comunicazione. 

Ora Federica è in preda all'angoscia e non sa più a chi rivolgersi per riportare sua figlia a casa. 

La storia

Portata in Libia dal papà e mai più tornata in Italia la storia della piccola Hager e di mamma Federica

Federica conosce Mohamed a Malta nel 2016. Lei ha venticinque anni, lui tre di più. Lei è lì per imparare l'inglese, lavora in due diverse caffetterie per mantenersi fuori casa. Lui è lì al seguito di sua sorella, diplomatica libica. Mohamed e Federica si innamorano e si sposano a Malta, e nel frattempo lei sposa anche la sua religione, convertendosi all'Islam. Poi rimane incinta, e tornano in Italia. Hager cresce, ma Mohamed è irrequieto. Non lavora, non impara l'italiano, non si occupa quasi per nulla della sua famiglia. Sogna di tornare in Libia, probabilmente, e lo progetta anche, visto come poi sono andate le cose. 

A marzo del 2022 Mohamed parte con la bambina al seguito. «Mi disse che suo papà stava poco bene e che aveva timore ci potesse lasciare da un momento all'altro», racconta Federica. «Voleva portargli la bambina per fargliela vedere un'ultima volta, e d'altra parte io non avevo motivo di sospettare una cosa del genere: era già tornato in Libia altre volte, io stessa ero andata lì a conoscere la sua famiglia. Non vedo perché avrei dovuto preoccuparmi». 

Ma questa volta le cose vanno diversamente. «Al momento di rientrare, tira fuori una scusa. Poi un'altra, e un'altra ancora, e intanto passano le settimane. Prima mi dice che si è operato alle tonsille, poi che all'aeroporto gli hanno requisito i passaporti. Io gli credo sempre, ma vedo che a poco a poco mi chiama sempre meno, devo rincorrerlo, supplicarlo per una videochiamata o una foto della bambina».