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Proteste Iran, eseguita la prima condanna a morte per impiccagione di un manifestante

Dopo la morte della giovane donna curda Mahsa Amini, Mohsen Shekari era stato arrestato durante le proteste. Era accusato di aver bloccato una strada e di aver estratto un'arma con l'intenzione di uccidere nonché di aver ferito intenzionalmente un ufficiale

Donne iraniane

Donne iraniane (Foto Ansa)

Orrore in Iran. La Repubblica islamica ha annunciato di aver giustiziato il primo prigioniero ufficialmente condannato per un presunto crimine in seguito alle proteste organizzate nel Paese. Dopo la morte della giovane donna curda Mahsa Amini, che si trovava in custodia della polizia iraniana per non avere indossato correttamente il suo hijab, il prigioniero, Mohsen Shekari, è stato condannato per aver ferito "intenzionalmente" una guardia di sicurezza con un lungo coltello e bloccato una strada nella capitale, secondo quanto riferisce l'agenzia di stampa Tasnim, ed è stato impiccato questa mattina.

Accusato di essere un rivoltoso

Mohsen Shekari era accusato di essere un "rivoltoso" che il 25 settembre bloccò una strada principale a Teheran e ferì con un coltello un membro delle forze paramilitari Basij. La magistratura ha detto che l'udienza si è tenuta il 10 novembre e l'imputato ha confessato le sue accuse. Mahmood Amiry-Moghaddam, direttore di Iran Human Rights con sede in Norvegia, ha twittato che le esecuzioni dei manifestanti inizieranno a verificarsi quotidianamente a meno che le autorità iraniane non siano messe di fronte a "rapide conseguenze pratiche a livello internazionale".

Altre 11 persone condannate a "lunghe pene detentive"

La magistratura iraniana ha finora annunciato che 11 persone sono state condannate a morte per le proteste iniziate a metà settembre dopo la morte mentre era sotto la custodia della polizia morale di Mahsa Amini, arrestata per aver indossato il suo hijab "impropriamente". Le proteste guidate dalle donne si sono estese a 160 città in tutte le 31 province del Paese e sono viste come una delle sfide più serie per la Repubblica islamica dalla rivoluzione del 1979.
I leader iraniani le hanno descritte come "rivolte" istigate dai nemici stranieri del Paese e hanno ordinato alle forze di sicurezza di "affrontarle con decisione". Finora, almeno 475 manifestanti sono stati uccisi e 18.240 sono stati arrestati, secondo l'agenzia di stampa degli attivisti per i diritti umani Hrana che ha anche riferito la morte di 61 membri del personale di sicurezza.

Le accuse della sorella di Khamenei

La Stampa pubblica oggi una lettera aperta di Badri Hossein Khamenei, sorella della Guida suprema della Repubblica islamica, Ali Khamenei, nella quale dichiara che "il popolo iraniano merita libertà e prosperità, e la sua rivolta è legittima e necessaria per realizzare i suoi diritti". "Spero di vedere presto la vittoria del popolo e il rovesciamento di questa tirannia che governa l'Iran. Che la giusta lotta del popolo per raggiungere la libertà e la democrazia si realizzi il prima possibile", aggiunge nel testo. "Nel nome di Dio - scrive Khamenei - Perdere un figlio ed essere lontano da tuo figlio è una grande tristezza per ogni madre. Molte madri sono rimaste in lutto negli ultimi quattro decenni. Penso che sia opportuno ora dichiarare che mi oppongo alle azioni di mio fratello ed esprimo la mia simpatia per tutte le madri che piangono i crimini del regime della Repubblica islamica, dai tempi di Khomeini all'attuale era del despotico califfato di Ali Khamenei". La sorella del leader iraniano racconta nella lettera: "L'opposizione e la lotta della nostra famiglia contro questo sistema criminale sono iniziate pochi mesi dopo la rivoluzione. I crimini di questo sistema, la soppressione di qualsiasi voce dissenziente, l'imprigionamento dei giovani più istruiti e ispirati di questa terra, le punizioni più severe e le esecuzioni su larga scala iniziarono fin da subito". "Come tutte le madri in lutto iraniane - sottolinea -, sono anche triste per il fatto di esser lontana da mia figlia. Quando arrestano mia figlia con violenza, è chiaro che applicano migliaia di volte più violenza ad altri ragazzi e ragazze oppressi che sono sottoposti a crudeltà disumana.

Gli alti funzionari iraniani organizzano una fuga

Inoltre, secondo fonti diplomatiche occidentali citate da Iran International English, che ha rilanciato la notizia su Twitter, la Repubblica islamica ha avviato trattative con i suoi alleati venezuelani per organizzare l'asilo per i funzionari del regime e le loro famiglie nel caso in cui la situazione si aggravi e aumenti la possibilità di un cambio di regime. Quattro alti funzionari iraniani - viene riferito - si sono recati in Venezuela a metà ottobre per assicurarsi che il governo di Caracas conceda asilo agli alti funzionari del regime e alle loro famiglie e li lasci entrare nel Paese in caso di "sfortunato incidente".