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Regno Unito, sentenza storica: i contenuti di Instagram e altri social responsabili del suicidio di una 14enne

In sei mesi ha salvato, messo like o condiviso 2.100 post che parlavano di sudicio, depressione e autolesionismo. Per soltanto 12 giorni, in quello stesso lasso di tempo, non ha interagito con materiale di quel tipo. Poi, Molly Russell, si è tolta la vita: era il 2017, aveva solo 14 anni, un episodio che ha sconvolto il Regno Unito. Oggi, proprio dalla Gran Bretagna, arriva un report storico, che riconosce i contenuti social tra le cause del suicidio.

«Certe immagini non dovevano essere a disposizione di un bambino», ha scritto il coroner Andrew Walker, una figura simile a quella del medico legale. Alcune piattaforme, come Instagram e Pinterest, avrebbero infatti spinto Molly a «periodi di binge watching», ossia abbuffate di determinati post che «potrebbero aver aver influito negativamente» su di lei: si tratta di contenuti che scoraggiavano la discussione, che romanzavano atti di autolesionismo.

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Altri erano particolarmente realistici e ritraevano il suicido come inevitabile conseguenza. «È probabile che il materiale visto da Molly, già affetta da una malattia depressiva e vulnerabile a causa dell’età, abbia influenzato in modo negativo la sua salute mentale e abbia contributo alla sua morte in maniera non secondaria». Si resta nel campo della probabilità, quindi, ma sono parole che lasciano il segno e alle quali replica subito il principe William.

«La sicurezza online per i nostri bambini e ragazzi deve essere un prerequisito, non un aspetto secondario», ha scritto su Twitter l’erede al trono. «Nessun genitore al mondo dovrebbe mai sopportare ciò che ha passato la famiglia Russell». Tra l’altro, nel 2019, il principe ha incontrato proprio Ian Russell, il padre di Molly. Che in passato ha parlato di «ghetto del mondo online, in cui una volta che cadi dentro l’algoritmo non puoi più sfuggirgli».

«Continuerà a consigliarti certi contenuti». Come un vortice, dal quale uscire - per un adolescente - diventa difficilissimo. Ecco perché il report di Andrew Walker potrebbe portare a nuove regole per i social media che garantiscano maggiore sicurezza.

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