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Ritratto di Aldo Cazzullo, il "femminista del fascismo” Nel suo libro (superficiale) l'ossessione per Mussolini

Cazzullo e il libro “Mussolini. Il capobanda” fatto uscire subito dopo la vittoria della Meloni

Aldo Cazzullo -con il solito tempismo calcolato- ha sganciato il suo libro proprio a ridosso della vittoria del centro – destra alle recenti politiche. Il libro ha un titolo, “Mussolini. Il capobanda”, che esula dall’analisi storica, ma anche dalla saggistica - sia pur di parte - di Antonio Scurati con “M. il figlio del secolo” e del seguito “M. gli ultimi giorni d’Europa”.

Cazzullo è uno di quei giornalisti che è letteralmente ossessionato da Mussolini e non perde occasione per parlarne (male), ma poi ci fa carriera (e soldi) scrivendone. Cazzullo racconta la storia del figlio, Benito Albino, avuto dal Duce con Irene Dalser, quando era già sposato con Rachele. Naturalmente si impantana e si impunta sul fatto che Mussolini abbia fatto rinchiudere la donna in manicomio. Il giornalista definisce Mussolini “spietato e cattivo” mentre naturalmente Stalin, che Cazzullo sembra adorare, era –come noto- una mammoletta che odorava di effluvi alpini.

Nel suo libro, superficiale e mal documentato, parla anche di Margherita Sarfatti, ebrea, in origine musa ispiratrice ed amante di un Mussolini socialista che condivideva con lei la fede nella rivoluzione. Cazzullo è un opportunista dell’inchiostro a cui è riuscito di entrare ad un giornale prestigioso come il Corriere della Sera ed anzi a diventarne immeritatamente vicedirettore. Oltretutto, grazie al lungimirante editore Cairo, è riuscito anche a ficcarsi stabilmente su La 7 e così gli italiani se lo devono sorbire pure via etere.

Cazzullo è ossessionato dal femminismo di cui è alfiere indefesso. Ma quello di Cazzullo non è un femminismo moderno ed intelligente ma un femminismo d’antan che procedeva (e procede) per fastidiosi stereotipi. Se fosse per lui saremmo ancora alle donne degli anni ’70 che giravano ballando intorno a Piazza Navona a Roma, mostrando il segno della bernarda, con le gote piene di geroglifici anti – maskio.

Il suo femminismo è quello delle esagitate che tirarono una zoccolata all’ormai anziano Cesare Musatti, matematico e psicanalista prestigioso, che aveva osato contraddirle pubblicamente. Ecco, Cazzullo è il” femminista del fascismo”. E si potrebbe parafrasare il titolo da lui usato con un “Cazzullo, il capobanda”. Capobanda di chi? Ma di una congrega di intellettuali “manganellatori” di chiunque non la pensi come loro.

I suoi sono stereotipi da osteria con cui cerca di fregare il posto a idoli ormai stanchi come Marco Damilano o Massimo Giannini, i fighetti radical – chic che da decenni prosperano sull’ “antifascismo militante”. L’incipit del suo romanzo è da manuale: “Cent'anni fa, in questi stessi giorni, la nostra patria cadeva nelle mani di una banda di delinquenti, guidata da un uomo spietato e cattivo. Un uomo capace di tutto; persino di far chiudere e morire in manicomio il proprio figlio, e la donna che l'aveva messo al mondo».

Il suo non è un saggio e neppure un romanzo è una schifezza ideologica che unisce un rosicamento antico alla spietata voglia di potere che Cazzullo ha sempre mostrato nella sua carriera. Cazzullo dipinge un Mussolini violento e spietato, il che la moderna storiografia non ha mai confermato, mentre sorvola facendo finta di niente su tutto il Mussolini socialista, direttore de l’Avanti! Rivoluzionario romagnolo, paladini dei diritti dei lavoratori, creatore dell’INPS e dell’INAIL.

Lenin disse a Nicola Bombacci: “Ne avevate uno bravo e ve lo siete fatto scappare”. Si riferiva proprio al Mussolini socialista. Lo storico e giornalista radicale Massimo Teodori definisce quello di Cazzullo un “antifascismo alle vongole”. Certamente fece i suoi errori, come le leggi razziali e l’alleanza con Hitler, al contrario dello scaltro Franco, ma non merita questo ritratto fatto da un uomo acido come Cazzullo, che non dice, ad esempio, che la Delser era una vera squilibrata che adesso sarebbe, in piena “democrazia cazzulliana”, in TSO perpetuo.

Il vicedirettore del Corriere ha fatto uscire il libro artatamente proprio subito dopo la vittoria del centro – destra per mettere in difficoltà Fratelli d’Italia e Giorgia Meloni, con una operazione di rara nequizia intellettuale. Una nota personale. Ebbi uno scambio di mail con Cazzullo che si vantava di essere stato a Bucarest durante la rivolta dei minatori di Nicolae Ceaușescu.

Gli feci notare che la “rivolta dei minatori” - come lui impropriamente la chiamava - la mineriada in rumeno, avvenne il 13 giugno del 1990 e fu voluta dall’allora presidente del Consilio del Fronte di Salvezza Nazionale, Ion Iliescu. Il dittatore rumeno invece era stato fucilato la notte del 25 dicembre 1989 insieme alla moglie, quindi l’anno precedente. Mi lui imperterrito continuava a dire che era stato Ceaușescu, così presupponente da non controllare neppure su Wikipedia. E così ha fatto con la storia del figlio di Mussolini e neppure ha visto il film “Vincere” di Marco Bellocchio, dove la storia è raccontata nella sua realtà.

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