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Saman Abbas, tre mesi prima di sparire scrisse al fidanzato: "Ecco chi mi farà del male"

BOLOGNA - Aveva paura Saman. E per questo, tre mesi prima di sparire nel nulla, aveva scritto al fidanzato Saqib Ayub indicando l'elenco di chi avrebbe potuto farle del male. Nomi e i numeri di telefono dei familiari - i genitori, lo zio e due cugini, tutti ora a processo - e di altre tre persone accompagnate dal messaggio: "Ecco chi mi farà del male"

Saman Abbas, scomparta nella notte tra il 30 aprile e il primo maggio di un anno fa a Novellara (Reggio Emilia), il 4 febbraio 2021 inviò l'elenco al fidanzato in una chat, acquisita dai carabinieri di Reggio Emilia agli atti del processo. Un atto di accusa, che ora che è morta, risuona in tutta la sua forza e disperazione. Tra i citati ci sono i cinque rinviati a giudizio per l'omicidio: i genitori, Shabbar Abbas e Nazia Shaheen (latitanti in Pakistan) lo zio Danish Hasnain, i cugini Ikram Ijaz e Nomanhulaq Nomanhulaq, arrestati nei mesi scorsi dopo la fuga all'estero. Oltre a loro, Saman segnalava anche il fratello minore - ragazzino di 17 anni lacerato tra rimorso, confessione, lacrime e desiderio di vendetta - un altro cugino e un altro zio, che non risultano indagati.

Saman Abbas, in un video del Tgr Emilia Romagna agli atti i suoi ultimi minuti di vita

Ai carabinieri Saqib aveva raccontato: "Saman mi diceva che i cugini e lo zio la offendevano continuamente e che lei aveva molta paura di Danish (in carcere per l'omicidio della ragazza, ndr) in quanto aveva già ucciso. Mi ha detto che il padre poteva ordinare l'omicidio di altre persone". Saman e Saqib sognavano di lasciarsi alle spalle la paura e le minacce di morteLa loro era una storia d'amore osteggiata dalla famiglia di Saman e finita nel più atroce dei modi.

Un bacio, postato su Instagram, aveva condannato la ragazza, 18 anni, il sogno di "voler essere libera". Il sogno di una vita normale. Nelle ottanta pagine di informativa dei carabinieri sulla fine di Saman, erano emerse le parole di suo padre Shabbar, latitante in Pakistan con la moglie Shaheen: "Io sono già morto, l’ho uccisa io, l’ho uccisa per la mia dignità e per il mio onore. Noi l’abbiamo uccisa". Parole atroci. "Un delitto d’onore", lo definiscono gli inquirenti, una vergogna da cancellare e seppellire.