Secondo Nico Veneziani, cardiologo con la passione delle tradizioni popolari, le icone, raffigurano non solo una teologia dipinta i cui colori sono obbligati e non scelti, infatti, il rosso rappresenta il fuoco della Divinità, l’azzurro l’umanità: Cristo ha la tunica rossa (la sua natura divina) e il manto azzurro (l’umanità assunta nell’incarnazione), ma rappresentano anche il mondo della quiete e del sacro.
E San Nicola che c’entra?
Gli abitanti di Myra, dopo la “visita” dei baresi che si impadronirono dei resti del Santo, rimasero ‘orfani’ del loro Patrono. Si racconta che il pellegrino Saewulf, ignaro della spedizione dei baresi e dei veneziani, si recò in città per venerare il sepolcro di Nicola e in qualche modo riuscì a soddisfare il proprio desiderio, mentre più tardi furono intrapresi nuovi lavori all’interno dell’edificio, a dimostrazione della continuità del culto.
Non è dato sapere a quali caratteristiche corrispondesse la tavola dipinta, ma è plausibile che il Santo fosse rappresentato a figura intera, dal momento che permetteva di conferire un tono più solenne e monumentale al grande taumaturgo.
Con ogni probabilità con la scomparsa del corpo di Nicola, fosse l’icona ad assumere un ruolo da protagonista nelle forme di culto pubblico e privato nel Santuario che continuò ad essere frequentato, e la prova indiretta della frequentazione è data dal ritrovamento di monete bizantine ed altro materiale negli scavi della Basilica.
Dopo una spaventosa alluvione, che coinvolse buona parte dell’abitato di Myra, l’icona rischiò di cadere nell’oblio e il re di Cipro, Pietro I, nel 1362, organizzò una incursione per prenderla e trasportarla solennemente nella cattedrale di Famagosta (Cipro), intitolata a San Nicola, oggi trasformata in Moschea. La bellissima chiesa di San Nicola, dove si incoronavano i re di Gerusalemme, nell’agosto del 1571, sul suo sagrato, si consumò uno dei martirii più eroici della storia. Fu infatti martirizzato Marcantonio Bragadin (1523-1571), ad opera di Lala Kara Mustafa Pascià.