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San Nicola e l’icona di Myra

VITTORIO POLITO - L’icona è un’immagine sacra che rappresenta il Cristo, la Vergine, i Santi e scene della salvezza, dipinta su tavoletta di legno o lastra di metallo, spesso decorata d’oro, argento e pietre preziose, tipica dell’arte bizantina e, in seguito, di quella russa e balcanica, un mezzo per trasmettere un segno di grazia divina. Non si deve dimenticare che davanti a queste immagini la gente prega, piange, cerca il contatto con Dio. Insomma l’icona non è un semplice quadro religioso, ma anche espressione di fede e di culto.

Secondo Nico Veneziani, cardiologo con la passione delle tradizioni popolari, le icone, raffigurano non solo una teologia dipinta i cui colori sono obbligati e non scelti, infatti, il rosso rappresenta il fuoco della Divinità, l’azzurro l’umanità: Cristo ha la tunica rossa (la sua natura divina) e il manto azzurro (l’umanità assunta nell’incarnazione), ma rappresentano anche il mondo della quiete e del sacro.

E San Nicola che c’entra?

Gli abitanti di Myra, dopo la “visita” dei baresi che si impadronirono dei resti del Santo, rimasero ‘orfani’ del loro Patrono. Si racconta che il pellegrino Saewulf, ignaro della spedizione dei baresi e dei veneziani, si recò in città per venerare il sepolcro di Nicola e in qualche modo riuscì a soddisfare il proprio desiderio, mentre più tardi furono intrapresi nuovi lavori all’interno dell’edificio, a dimostrazione della continuità del culto.

Michele Bacci, nel suo libro “San Nicola – Il grande taumaturgo” (Laterza), ipotizza che nel luogo oggetto della traslazione fu lo stesso Nicola a impedire che il luogo rimanesse completamente sprovvisto della grazia divina, non avendo permesso ai baresi di rimuovere un’icona “molto sacra e di grande bellezza, antica e recante l’effigie di quel molto venerabile e santo padre”, realizzata “a somiglianza” del Santo, come in una sorta di ritratto del viso. Ogni tentativo di rimozione risultò vana ed era evidente che Nicola non intendeva abbandonare del tutto il suo antico “gregge”, mentre i marinai pugliesi gridavano agli afflitti miresi queste parole: «Voi potete consolarvi a sufficienza, dato che avete il suo sepolcro pieno di santo liquido, che vi è stato lasciato, anzi anche un’icona, dalla quale voi avete tratto molti benefici». In sostanza l’icona e l’abbondante ‘myron’ che rimaneva, costituivano una valida alternativa al corpo del santo. L’icona, probabilmente, rappresentava la stessa immagine che servì ai veneziani per riconoscere l’ubicazione della sepoltura di Nicola.

Non è dato sapere a quali caratteristiche corrispondesse la tavola dipinta, ma è plausibile che il Santo fosse rappresentato a figura intera, dal momento che permetteva di conferire un tono più solenne e monumentale al grande taumaturgo.

Con ogni probabilità con la scomparsa del corpo di Nicola, fosse l’icona ad assumere un ruolo da protagonista nelle forme di culto pubblico e privato nel Santuario che continuò ad essere frequentato, e la prova indiretta della frequentazione è data dal ritrovamento di monete bizantine ed altro materiale negli scavi della Basilica.

Dopo una spaventosa alluvione, che coinvolse buona parte dell’abitato di Myra, l’icona rischiò di cadere nell’oblio e il re di Cipro, Pietro I, nel 1362, organizzò una incursione per prenderla e trasportarla solennemente nella cattedrale di Famagosta (Cipro), intitolata a San Nicola, oggi trasformata in Moschea. La bellissima chiesa di San Nicola, dove si incoronavano i re di Gerusalemme, nell’agosto del 1571, sul suo sagrato, si consumò uno dei martirii più eroici della storia. Fu infatti martirizzato Marcantonio Bragadin (1523-1571), ad opera di Lala Kara Mustafa Pascià.