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Tumore al polmone, l'allarme del chirurgo: "Troppi ospedali fanno pochi interventi, così la sopravvivenza si abbassa"

In troppi lavorano poco. E la qualità dell’assistenza, legata a doppio filo con la sopravvivenza del paziente, si abbassa. Domani è la giornata internazionale del cancro e uno dei più importanti chirurghi italiani, che dirige una struttura da mille interventi l’anno, lancia l'allarme sul gran numero di centri che svolgono un basso numero di interventi al polmone nel nostro Paese. Lorenzo Spaggiari è alla guida della chirurgia toracica dell’Ieo di Milano e da tempo si batte per far capire come in sanità piccolo non è bello ma quasi sempre molto brutto. In particolare, lo è quando si tratta di operare il cancro al polmone, il secondo più diffuso tra gli uomini e il terzo tra le donne

In 101 ospedali si opera troppo poco

I dati del Piano nazionale esiti di Agenas, l’Agenzia sanitaria nazionale delle Regioni, sono il punto di partenza. “In Italia – spiega Spaggiari – ci sono 178 strutture di chirurgia toracica per circa 12 mila interventi. Nell’ultima rilevazione, del 2019, sono ben 101 i centri che non superano i 50 interventi l’anno. Cioè un’enormità. A fare più di 100 interventi sono 45. Secondo i criteri internazionali, però, i centri migliori sono quelli che operano dai 150 casi in su. Ebbene, nel nostro Paese sono 20, dei quali 10 al Nord, 9 al Centro e uno al Sud”. Insomma, ci sono ancora troppe realtà piccole dove finiscono i malati. Spaggiari aveva già segnalato il problema nel 2014 e da allora le cose sono un po’ migliorate. “Ma non basta”, dice.

Chi segue più casi ha dati di mortalità più bassi

Dove si opera poco si ottengono anche risultati di cura peggiori. “La letteratura scientifica, ad esempio statunitense, è piena di dati sul fatto che la sopravvivenza è più bassa rispetto a quella di chi viene operato nei centri grandi – dice Spaggiari – Agenas stessa dice che la mortalità è correlata al numero di interventi. Attenzione, non migliora solo la mortalità post operatoria nei centri più grandi ma anche quella a distanza di tempo dall’intervento, correlata anche alla cura del tumore in generale”. I piccoli reparti esistono perché spesso avere la chirurgia toracica, come altre attività, è considerato un segno di prestigio, soprattutto se l'ospedale è universitario. Così succede che vengono tenute aperte strutture che lavorano poco.

"Creiamo dei grandi centri dedicati al polmone"

Pe il chirurgo bisognerebbe creare delle “Lung unit”, come esistono le “Brest unit” per il tumore alla mammella, che nell’80% dei casi è seguito in centri da oltre 150 interventi l’anno. “La cura migliore è multidisciplinare, noi collaboriamo a stretto contatto con radiologi, radioterapisti, oncologi e altri specialisti – spiega Spaggiari – per scegliere la migliore strada terapeutica. Nei grandi centri lavorano fianco a fianco tanti professionisti e si è in grado di offrire un percorso completo, dalle tecnologie di diagnosi precoce fino al follow up post operatorio”.

Concentrare l'attività risolve anche i problemi di organico dei medici

In questo periodo, come noto, ci sono seri problemi di organico nella sanità, con grosse difficoltà a trovare medici. “Ecco, eliminare i reparti più piccoli permetterebbe anche di recuperare risorse da concentrare nei lung center – spiega il chirurgo dell’Ieo – Consideriamo che per avere un reparto di chirurgia toracica ci vogliono dai 6 agli 8 medici. Se fanno meno di 50 interventi lo spreco di risorse è evidente”. Visto che i gli interventi sono 12 mila l’anno basterebbero davvero una ventina di chirurgie specializzate nel cancro al polmone, ma anche il doppio, in media due per regione, sarebbero molte meno delle 178 attualmente attive. Quando un malato ha un problema grave come il tumore al polmone, o altre patologie da operare in una toracica, può spostarsi, comunque all’interno della sua regione, per avere una cura migliore. “E’ l’uovo di colombo: riducendo i centri si risolverebbero sia il problema di risorse che quello di qualità delle cure”.

"Con la pandemia persi 1.600 interventi in due anni"

Spaggiari è preoccupato anche per quello che è accaduto con la pandemia. “In Italia sono stati operati circa 1.600 pazienti in meno tra il 2020 e il 2021. La massima urgenza è recuperare l’attività che è andata perduta”. Gli effetti del coronavirus sono stati molto pesanti anche sulla cura del cancro al polmone. “L’impressione che abbiamo io e l’oncologo è che stiano arrivando casi sempre più avanzati – spiega Spaggiari - Abbiamo perso un sacco di pazienti, che non sono stati curati a causa della pandemia e ora arrivano con tumori in stato avanzato”. di essere curati in stato avanzato.