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Vialli e Mancini: «In quell’abbraccio c’è amore, amicizia, tra di noi, tra noi e gli italiani»

Il viaggio della Sampdoria dei record, quella che nella stagione 1990-1991 vinse un incredibile e meritato scudetto, raccontato prima in un libro, oggi diventa un docufilm diretto da Marco Ponti, dal titolo omonimo***, La bella stagione,*** prodotto da Grøenlandia e Rai Cinema (sarà in sala dal 28 novembre al 1° dicembre), e presentato all’ultimo Torino Film Festival. Era la Samp di Vialli e Mancini. Uno spaccato romantico di gol ed emozioni, di ricordi e memorie, di aneddoti e divertimento, di lacrime, di gioie e dolori personali, capace di attraversare uno dei momenti più importanti della società doriana, allenata allora da Vujadin Boškov, sotto la presidenza di Paolo Mantovani, e uno di quelli maggiormente più dolorosi (sportivamente parlando), ovvero la finale della Coppa dei Campioni persa nel 1992 contro il Barcellona di Johan Cruijff. 

Intorno una squadra unita, d’altri tempi verrebbe da dire, che allora inizia a riavvolgere il nastro.

C’è soprattutto la lunga cavalcata, in campionato, battendo vere e proprie corazzate: il Napoli di Maradona (4-1 all’ex San Paolo), il Milan degli olandesi (Van Basten, Gullit e Rijkaard), l’Inter di Matthäus (Pallone d’Oro nel 1990), Brehme e Klinsmann, freschi campioni del mondo a Italia ‘90 (delusione per lo stesso Mancini che mai giocò), la Juventus di Baggio e Schillaci, perdendo però uno dei due derby col Genoa. Ci sono i Gemelli del gol: Vialli da un lato (capocannoniere alla fine con 19 gol, e 6 rigori) e Mancini, simboli (oltre a essere i giocatori che più hanno segnato nella storia del club, 312 gol insieme) di un’avventura epica, intrisa d’amicizia, valori legami, relazioni.
«Una ricetta sana» dice il regista, condivisa intervistando gli altri protagonisti: da Gianluca Pagliuca, Pietro Vierchowood, Fausto Pari, Moreno Mannini, Ivano Bonetti, Giovanni Invernizzi, Giulio Nuciari, a Marco Lanna (attuale presidente della squadra), Attilio Lombardo, Beppe Dossena, Toninho Cerezo e Luca Pellegrini.

Voci e volti, chiamati dunque ad alternarsi nel condividere, a essere testimoni (adesso) anche di un calcio quasi praticamente scomparso, scevro da interessi e business, che basava invece la sua forza sulla collettività, trasformandosi in un unicum magico. «Spero che questo film possa essere utile alle nuove generazione», racconta Mancini, «Perché al di là della vittoria è una storia d’amicizia che dura da 30 anni, che parla di rispetto l’un per l’altro, e del progetto di Paolo Mantovani. Ognuno di noi avrebbe potuto andar via, ma il nostro amore per quella maglia era troppo forte, e lo proviamo ancora. Sono stati i migliori anni della nostra vita, al di là dell’aspetto sportivo». 

La bella stagione è anche un momento di commozione e riflessione, dove stesso Vialli parla della sua malattia, e di quell’amicizia, la parola chiave di tutto, che è servita a costruire un ponte tra passato e presente. Lo stesso che nel docufilm ci conduce poi al trionfo dell’Europeo nel 2021, contro l’Inghilterra, a Wembley, in cui Mancini (attuale CT della nazionale) e Vialli (capo delegazione) si abbracciano in quel pianto liberatorio dopo i rigori vinti

L’immagine densa di significato, simbolica, che cela riscatto, e chiude una sorta di  cerchio. «In quell’abbraccio», dice ancora Mancini, «c’è amore, amicizia, tra di noi, tra noi e gli italiani, è stato veramente qualcosa di speciale».

«Sono fermamente convinto», aggiunge Vialli, «che i giocatori oggi siano molto più professionali, sanno gestirsi meglio a livello mentale, fisico. Ma se tu assumi qualcuno, come successe a me alla Sampdoria, devi essere disposto a  a dare sangue e lacrime. Nella mia vita ho sempre cercato di trasformare i  fallimenti sportivi in motivazioni. Una volta però uscito dall’ufficio del presidente ero pronto a soddisfare la visione di colui che era a capo di quel progetto. In questa storia si parla serie di valori, senso di appartenenza, profonda amicizia, della necessità di cazzeggiare e  quindi vincere, ma divertendosi, sfidando lo status quo, ispirato da un visionario che c’aveva coinvolto. 
È stata una meravigliosa avventura. Da poco ho visto film di Paolo Sorrentino, È stata la mano di Dio. Nel finale lui, giovane, parla con Antonio Capuano che gli chiede, “Hai qualcosa da dire? E allora fai il cinema”. Ecco noi avevamo qualcosa da dire, per questo così abbiamo fatto questo film, che davvero ci rappresenta tanto».

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