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Alessia Piperno torna su Instagram: «Condividevo la cella con Fahimeh Karimi, condannata a morte»

Durante la prigionia, Alessia Piperno, la travel blogger romana incarcerata in Iran per 45 giorni, ha condiviso la cella con Fahimeh Karimi, madre di tre bambini e allenatrice di pallavolo, condannata a morte con l’accusa di essere una delle leader delle manifestazioni di ribellione e di aver sferrato calci a un paramilitare Basiji. Il primo post sul profilo Instagram di Alessia, dopo la scarcerazione (avvenuta il 10 novembre), è dedicato a lei.

«Sei bianca come quel muro, sarà che a forza di guardarlo, ha mangiato i tuoi respiri. Siamo nascoste in un punto cieco qui, le tue urla sono come il silenzio, fai a pugni con la porta e calpesti le tue stesse lacrime. “Azadi! Azadi!” Ti canto Bella ciao, e tu ti metti a piangere, altre volte mi batti le mani. Vorrei dirti di più, ma che ti dico? Ho paura, anche io. “Fatimah, Athena, Mohammed”. Continui a gridare i nomi dei tuoi figli, avranno sentito il tuo eco o l’amore non viaggia attraverso le sbarre? Aprono quella porta perché fai troppo rumore, ma siamo carne senza vita noi, e ci schiacciano come foglie secche, ascolta, loro non hanno cuore».

Alessia Piperno racconta tutta la disperazione di quella donna. «Ti butti a terra con la testa tra le mani, premi con le dita contro le tue tempie, vuoi strappare i tuoi pensieri, farli uscire dalle tue orecchie, sono sabbie mobili, lo so bene. Domani è un giorno nuovo, magari saremo libere, anche se si, hai ragione, te l’ho detto anche ieri. Arriva la pasticca che ci canterà la ninna nonna, ti prendo la mano, è quel poco che posso fare, metti la testa sotto la coperta, almeno lì le luci sono spente, guarda il cielo, le vedi anche tu le stelle?».

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Poi spiega: «Fahimeh è stata la mia compagna di cella per 34 giorni. Un giorno è uscita dalla cella per andare in infermeria, e non è più tornata. Tra di noi non ci sono state grandi conversazioni, dal momento che io non parlavo farsi e lei non parlava inglese. Ma eravamo unite dallo stesso dolore e dalle stesse paure». 

E ancora: «Ho cercato il suo nome ogni giorno da quando sono tornata, per controllare se avessero liberato anche lei. Invece mi sono trovata davanti a un articolo con il suo volto con scritto “condannata a morte”. Cosa serve per fermare tutto questo? Cosa cazzo serve?».

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