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Alexej von Jawlensky e l’arte della geometrizzazione del volto

Ventidue dipinti in tutto per ripercorre gli anni trascorsi dall’artista russo Alexej von Jawlensky (1864-1941) nel Canton Ticino. In una sola stanza dalle pareti verde pisello, il Lac di Lugano propone uno spin-off esemplare all’interno della sua esposizione permanente. È l’ennesima lungimirante azione che mette in relazione il territorio che ospita il museo con il suo passato, all’inizio del XX secolo così marcato da sostenuti flussi migratori: di questa storia, Jawlensky è certamente uno dei protagonisti. 

Nato nel 1864 da un colonnello dell’armata russa, Alexej von Jawlensky risiede a Mosca e poi a San Pietroburgo. All’inizio del nuovo secolo viaggia per la Francia, dove nel 1906 espone i suoi lavori al Salon d’Automne. Soggiorna anche a Bordighera e poi a Monaco. Tra i fondatori del Blaue Reiter, allo scoppio della Prima guerra mondiale lascia precipitosamente la Germania e la sua precedente vita agiata per raggiungere Zurigo, dove frequenta esponenti del movimento Dada. Raggiunge poi Ascona, in Svizzera, dove soggiorna dal 1918 al 1921. «Les trois années les plus intéressantes de ma vie», li definirà più tardi. 

Alexej von Jawlensky, Testa di donna. 1913. Olio su cartone. Collezione privata (Courtesy of Lac Lugano)

Le condizioni di vita di Alexej von Jawlensky ad Ascona sono decisamente mutate. Il pittore non ha più un atelier lavora su un tavolo di casa: per questo abbandona tela e cavalletto a favore di formati più piccoli e materiali economici come carte e cartoni. Nella sala del Lac a Lugano la scelta di disporre i dipinti allineati secondo una linea temporale ascendente sottolinea gli esiti raggiunti durante il soggiorno ad Ascona, anche attraverso opere realizzate in precedenza e successivamente al soggiorno ticinese. 

Una Natura morta con caffettiera gialla e teiera bianca, 1908 e la seguente Testa di donna, 1913 che aprono il percorso espositivo, mostrano tutta la forza della sua prima palette cromatica espressionista. Ad Ascona emergono le cromie accese e le linee marcate tipiche in un’astrazione costruita intorno a forme semplificate e trasparenze.

Durante il periodo trascorso ad Ascona, Alexej von Jawlensky lavora in parallelo su quattro serie: le Variazioni, le Teste Mistiche, i Volti del Salvatore e le Teste Astratte. Sono soprattutto i volti (o, come le definiva lui, le “Teste”) a raggiungere esiti straordinari: «Mi fu necessario trovare una forma per il volto, poiché avevo compreso che la grande arte doveva essere dipinta unicamente con un sentimento religioso. E questo lo potevo trasmettere solo al volto umano. Avevo capito che l’artista deve dire nella sua arte, tramite forme e colori, ciò che è divino in lui», scrisse l’artista.

Alexej von Jawlensky, Volto del Salvatore 1920, Olio su disegno preparatorio su carta telata. Collezione privata (Courtesy of Galerie Kornfeld, Bern)

In realtà, Alexej von Jawlensky aveva iniziato a dipingere le Teste Mistiche già a Zurigo nel 1917, ispirandosi a persone reali che – sotto il suo pennello – perdono ogni individualità per divenire forme iconiche del volto umano e di quello del Cristo. Il suo “picco creativo” lo raggiunge proprio sulle rive svizzere del Lago Maggiore, dove dipinge le sue Teste Astratte.

In mostra al Lac appare la celebre Testa Astratta: Forma Primordiale, un olio su cartone su tavola del 1918 da cui l’artista anche in seguito continuerà a trarre ispirazione. Qui, la geometrizzazione del volto raggiunge il suo apice: mentre le linee divengono ancora più essenziali, le zone di colore si espandono. Siamo agli antipodi rispetto ai ritratti realizzati nel periodo precedente alla Prima guerra mondiale, molto vicini a composizioni di pura forma e colore: si tratta di insiemi magnetici «composti da linee che verso il basso si chiudono, verso l’alto si aprono e al centro si incontrano».