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Antisemitismo allo stadio, la promessa di Abodi e Piantedosi: "Questa storia finirà. Individueremo i responsabili"

Cori antisemiti. Gadget distribuiti dagli ultras con slogan antisemiti. Magliette da calcio con riferimenti al nazismo. Così lo stadio, curve in testa, è diventato il luogo in cui tutto è lecito, tutto è possibile.

L'Olimpico è il teatro in cui gli ultrà di Roma e Lazio offrono il peggiore degli spettacoli.

Il ministro dello Sport, Andrea Abodi, non ci gira troppo intorno e promette: "Il 31 marzo parlerò del caso con Matteo Piantedosi, così non si può andare avanti". Il ministro degli Interni ha chiamato il capo della polizia Lamberto Giannini ed il questore di Roma, Carmine Belfiore, per invitarli a fare ogni sforzo possibile per individuare i responsabili.

"Una curva intera che canta cori antisemiti, un tifoso in tribuna con la maglia Hitlerson e il numero 88 e noi, come sempre, gli unici a indignarci e a protestare. Possibile che tutti continuino a far finta di nulla? " , aveva tweetato indignata la presidente della comunità ebraica di Roma, Ruth Dureghello, ieri mattina commentando quanto visto a fine derby. Immediata la replica del ministro del governo Meloni: "Non rimarremo indifferenti di fronte a tutto ciò. Chi si comporta così allo stadio è un ignorante. Allo stesso tempo l'ignoranza non deve essere un salvacondotto rispetto a delle responsabilità penali".

Il binario è doppio, spiega Abodi. Da un lato, infatti, c'è la sanzione penale. Dall'altro la conoscenza di alcune pagine fondamentali della storia, totalmente assente secondo il ministro. È la questione della memoria che va svanendo, più volte denunciata dalla comunità ebraica.

Il rischio è che i più giovani perdano cognizione della più grande tragedia del Novecento, l'Olocausto. "Dobbiamo investire sulla formazione anche a scuola per poi vedere i frutti", dice Abodi.

Resta però aperto il problema attuale. Il presente. Cosa fare oggi? Come fare quando allo stadio impunemente si inneggia con canzoni al nazifascismo, si offende il rivale dandogli dell'ebreo, ci si lancia con orgoglio in saluti romani? Perché la legge Mancino non scatta mai all'Olimpico?

"Io rimango dell'idea che lo stadio non possa essere considerato una zona franca, dove possono trovare ospitalità comportamenti che fuori dagli impianti sportivi possono essere censurati e sarebbero perseguiti. Ribadisco: di questo parlerò con Piantedosi", sottolinea il ministro.

Abodi poi ritorna sul concetto dell'educazione: "Come intervenire su quello che accade adesso e come fare in modo che le cose non ricapitano in futuro. La persone non si formano da sole, occorre fare oggi qualche cosa per le future generazioni. Ovviamente tutto quello che accade nel presentenon va derubricato". Per il titolare del dicastero dello Sport, "sul tema dell'educazione e del rispetto ci vuole uno sforzo complessivo. Mi chiedo anche quanto le società si stiano impegnando. Adesso sto aspettando di parlare con la Lazio, ma il tema non non riguarda solo i biancocelesti, coinvolge anche le altre tifoserie quindi anche le dirigenze degli altri club, come la Roma ad esempio".

Abodi così centra un punto fondamentale. La stracittadina è una competizione non più solo calcistica, ci sono gruppi di ultrà che fanno a gara a chi inventa il peggiore slogan xenofobo da rivolgere all'avversario: " Ormai c'è il derby fuori dal campo sulle ignominie, è inaccettabile. Ho letto delle cose deliranti qualcuno accusa Dureghello di non aver detto nientequando le stesse cose le dicevano i tifosi della Roma. È una follia. Anche per questo motivo sto cercando di organizzare con la presidente della comunità ebraica un viaggio che abbia un significato profondo, che coinvolga importanti personaggi del mondo dello sport per recarci ad Auschwitz e Dachau. L'obiettivo è andarci tra maggio e giugno".

Infine, conclude il ministro, " dovremo commissionare uno studio per capire come stanno affrontando lo stesso problema gli altri Paesi europei, quindi adottare lebest practices qui da noi. Ci sono milioni di famiglie che si sono visti negare il diritto alla vita in quell'abominio, questo va insegnato a scuola. Sull'Olocausto non si scherza nemmeno con il sopracciglio".

Da Anna Frank ad Hitlerson 88 Il derby della stupidità

"Siamo le camicie brune di Patricio Gabarrón". Patric, il difensore biancoceleste, siede in panchina quando dagli spalti della curva Nord a derby iniziato si alza per la prima volta il coro antisemita partorito recentemente dai biancocelesti nel corso dell'ultima trasferta a Napoli.

Il motivetto nauseabondo (sull'aria di Clandestino di Manu Chao) è la riedizione di un vecchio coro della curva Nord, mai troppo cantato, ideato poco meno di 10 anni fa da Alessandro "Il Tonno", ex lanciacori degli Irriducibili ai tempi di Fabrizio "Diabolik" Piscitelli. Ora il nuovo ritornello fa così: "Romanista sefardito/ c'hai il padre deportato/ tua madre è Anna Frank". La Nord, compreso il ragazzo con indosso la maglietta "Hitlerson", lo scandisce a perdifiato, prima di incassare la vittoria di misura (1- 0) edopo la coreografia che a guardarla sembra di riascoltare le parole pronunciate da Diabolik durante Lazio- Roma ( 1- 5) disputato il 10 marzo 2002.

"Bella la coreografia eh? - dice Diablo entrando in curva - Fascista, nei limiti " . L'osservazione dell'ex capo della Nord viene catturata dalle telecamere di una emittente straniera che quel giorno seguono i leader delle curve di Roma e Lazio per realizzare un documentario sul derby della capitale. In quell'occasione "Diablo" si riferisce al telone con la cavalcata di cavalieri celtici esposto prima del calcio d'inizio.

Domenica gli Ultras Lazio sono andati oltre. "Noi pochi, noi felici pochi. Noi manipolo di fratelli" , recitava lo striscione esposto in campo, sotto la scenografia. La frase ripresa dagli scritti di William Shakespeare da anni è parte integrante del repertorio degli slogan ( meno sfacciati) dell'ultradestra, movimentista e " non conforme".

Gli ultrà della Lazio, stando attenti a non dare scandalo, non hanno perso l'occasione per rimarcare la loro connotazione politica. Casomai qualcuno avesse avuto ancora qualche dubbio. Ora la società sportiva Lazio sta collaborando con le forze dell'ordine per identificare il tifoso fotografato con indosso la maglia "Hitlerson 88", che rischia il daspo. Gli investigatori stanno esaminando le immagini per capire se gli ultrà abbiano usato un bambino di otto anni per far entrare una bandierina neofascista. Intanto la Nord potrebbe rimanere chiusa per Lazio- Juve, in virtù dei cori razzisti partiti spontaneamente.

Su questo si attende la decisione del procuratore federale Giuseppe Chiné. L'esito è legato alla valutazione sul coro razzista con Anna Frank.

Questo è solo l'ultimo di una infinita serie di precedenti all'Olimpico. Perché anche la Sud, che due giorni fa si è limitata a sostenere la Roma, negli anni non è stata immune al problema.

Qualche esempio? Se il gruppo " Roma", un tempo legato a Casa-Pound, domenica ha sfoderato il nuovo striscione con la lupa capitolina, i suoi militanti si erano presentati a Tirana, per assistere alla finale di Conference League contro il Feyenoord, tutti con la maglietta "Roma marcia ancora", chiaro riferimento alla marcia fascista del '22. Senza dimenticare che solo 24 ore prima del derby sul ponte degli Annibaldi, al Colosseo, era stato affisso uno striscione in omaggio al terrorista nero Pierlugi Concutelli firmato "Tradizione-distinzione".

La ex sigla della Sud, era attiva nei primi anni 2000, capeggiata da Antonio Schiavo. In basso a destra, dietro al loro striscione, agitavano delle bandierine con un rimando al simbolo di Ordine nuovo. Indossavano i cappellini con la scritta Charlemagne (omaggio alla divisione delle Ss francesi) e il 26 gennaio 2006 nel corso di Roma- Livorno (3-0) alzano lo striscione "Lazio-Livorno, stessa iniziale stesso forno". Uno scandalo.
Al derby del 22 aprile 2001 ( 2- 2) la Nord aveva già esposto: "Auschwitz la vostra patria, i forni le vostre case". Quattro anni più tardi, il 6 gennaio 2005, Paolo Di Canio segna sotto la Sud e a fine partita saluta gli Irriducibili con il braccio teso.

Il centravanti cresciuto in curva Nord ha smesso di giocare da un pezzo quando il 24 aprile 2019 un manipolo di Ultras Lazio espongono lo striscione "Onore al duce" in corso Buenos Aires a Milano.

Due anni prima era scoppiato lo scandalo dei presunti adesivi anti- romanisti con il viso di Anna Frank e la maglietta della Roma. Adesso è stato partorito anche il coro.

Alessandro Portelli: "Il vero problema sono i tifosi che non zittiscono i fascisti"

"Il fascismo è reato, sono andato a dirlo anche a Lotito anni fa. I cori antisemiti sono di una parte dei laziali, non di tutti. Il problema è che gli altri, la maggioranza, non li azzittiscono subissandoli di fischi ma glielo lasciano fare". Alessandro Portelli, 80 anni, storico ed ex docente di letteratura angloamericana alla Sapienza, è figlio di un calciatore delle giovanili biancocelesti degli anni '30.

Tifa Lazio fin da piccolo e da sempre nella vita ha lottato per eliminare il fascismo e del razzismo negli stadi (e nella vita quotidiana). Non a caso porta nel cuore una figura precisa nella storia ultracentenaria del club: "Montesi perché ha pagato pesantemente le sue convinzioni profonde. Era di sinistra ed è stato emarginato. E non dimentichiamociche Maestrelli fu un partigiano".

Professore, gli ultimi episodi risalgono a domenica scorsa in occasione del derby vinto dalla squadra di Sarri.
"Sul campo è andata bene, sono tre punti importanti. Però la vittoria è macchiata dai soliti cori antisemiti: non amo il tifo organizzato ed è preoccupante che tutto il resto dello stadio non condanni tutto ciò".

Le dà fastidio quando dicono che tutti i laziali sono fascisti e razzisti?
"Estendere a tutti il comportamento di un gruppo, sia pure non trascurabile, è un errore. Ma va preso atto che l'intera maggioranza dello stadio, per indifferenza ma anche per paura, non mette a tacere questi cori. Segnalo l'associazione Lazio e Libertà che è stata fondata dai laziali democratici che si oppongono allo stereotipo del laziale fascista. Non è un caso che siano stati aggrediti".

Lei in passato si è mosso in prima persona con una raccolta firme.
"Sì, insieme a Silvio Di Francia, ex assessore alla cultura e consigliere comunale, scomparso negli ultimi giorni. È stata una figura importante per la democrazia a Roma. Era laziale come me e dopo un altro episodio simile organizzammo un'iniziativa per raccogliere le firme di laziali antifascisti: in poche ore arrivammo a 600 firme, che poi diventarono migliaia. Così, con le firme in mano, andammo dal presidente Lotito per provare a mettere la parola fine alfascismo nello stadio della Lazio. Lui ci rispose dicendo che tutta la politica non doveva entrare nello stadio. Ma non è così: la politica in democrazia deve essere sempre presente, il fascismo invece no. Non è un'opinione, ma un reato".

La Lazio come società può fare di più per contrastare il problema?
"Secondo me sì. Il club deve dire basta a tutto e deve essere netto, magari anche organizzando delle iniziative. Finora ha fatto delle presedi distanza generiche. Questa situazione fa male all'immagine della Lazio, perché in tutto il mondo si porta dietro questa nomea. Se la società non vuole essere etichettata in questo modo deve agire in prima persona, non affidarsi solo alla buona volontà di un gruppo coraggioso di tifosi che alza la bandiera dei laziali democratici. Il problema purtroppo è endemico del calcio e delle curve, magari fosse solo la Lazio".

Come si fa a contrastare il fenomeno? Servirebbero le telecamere negli impianti per individuare i responsabili?
"Identificare le persone è importante, poi le forze dell'ordine si devono convincere che il fascismo e il razzismo siano reati e trattarli come tali. Purtroppo finché non si passa alla violenza fisica si lascia correre troppo su queste cose. Le istituzioni non capiscono quanto sia pericoloso tollerare comportamenti simili".