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Boris Johnson si dimette da deputato, terremoto a Londra

Terremoto al cuore della politica britannica. Boris Johnson, ex primo ministro e leader Tory trionfatore delle elezioni di fine 2019, caduto fra scandali e rivolte interne l'estate scorsa, ha annunciato ieri sera d'improvviso anche le sue dimissioni con effetto immediato da deputato: innescando una crisi che minaccia d'investire la sopravvivenza medesima del governo di Rishi Sunak, suo successore, ex ministro delle Finanze e ormai avversario interno.

L'addio al seggio nella Camera dei Comuni è stato motivato in una lunga e furibonda lettera aperta resa pubblica in serata dall'artefice principale della Brexit; lettera in cui BoJo, controverso e divisivo fino all'ultimo, ha puntato esplicitamente il dito verso l'esecutivo attuale e la direzione politica impressa al suo partito da Sunak, oltre che sull'opposizione laburista e sulle inchieste aperte in questi mesi contro di lui per il cosiddetto scandalo Partygate dei ritrovi organizzati a Downing Street durante il proprio mandato in sospetta violazione delle restrizioni anti Covid allora in vigore.

Johnson ha informato nel testo di aver ricevuto in queste ore il rapporto finale della commissione parlamentare bipartisan incaricata di valutare se egli avesse mentito alla Camera a suo tempo, agli albori di quello scandalo. Un rapporto di sostanziale condanna, frutto a suo dire del "vergognoso pregiudizio" con cui la commissione sarebbe stata condotta dalla sua presidente, Harriet Harman, deputata veterana del Labour. "Non ho mentito, e credo che in cuor loro alla commissione sappiano perfettamente - ha scritto l'ex premier riferendosi ai membri della commissione - che quando ho parlato ai Comuni stavo dicendo ciò che sinceramente credevo fosse vero". Ma sono comunque determinati a cercare di "spingermi fuori dal Parlamento" in modo "anti-democratico". Epilogo che Johnson - tutt'altro che rassegnato a rientrare nell'ombra dopo gli alti e bassi di una carriera politica passata attraverso innumerevoli polemiche e rinascite nel percorso da sindaco di Londra a primo ministro di Sua Maestà - non intende evidentemente subire. E che preferisce precipitare in prima persona, sbattendo la porta "almeno per ora", come non manca di sottolineare. E lasciando vacante quel collegio di Uxbridge, alle porte della capitale, che al momento, sondaggi alla mano, il Partito Conservatore del 'traditore' Sunak rischia di perdere.

Gli strali della lettera di dimissioni non sono d'altronde rivolti solo contro la commissione guidata da Harman (o contro l'alta funzionaria Sue Gray, trasferitasi armi e bagagli a svolgere funzioni di capo di gabinetto del numero uno dell'opposizione laburista Keir Starmer pochi mesi dopo aver a sua volta indagato dall'interno di Number 10 sul Partygate). Ma anche contro gli stessi Tories e gli orientamenti del primo ministro che in questi mesi - dopo l'effimera parentesi di Liz Truss - è risucito a sostituirsi a lui sullo sfondo di una spietata faida intestina. La maggioranza "da me conquistata" tre anni e mezzo fa, ha denunciato, "la più grande maggioranza (Tory) in mezzo secolo, è ora chiaramente a rischio".

Colpa nelle sue parole di una nuova leadership che ha rinunciato a "tagliare le tasse", ha accantonato "troppo facilmente" i negoziati per un trattato di libero scambio post Brexit con gli Usa e avrebbe "bisogno di ritrovare urgentemente fiducia in ciò che questo Paese può fare". Oltre che di "dimostrare come ottenere il meglio dalla Brexit attraverso un'agenda pro crescita e pro investimenti". Una sfida in piena regola, ma anche un attacco nucleare all'autorità di Rishi Sunak, portato poche ore dopo che il premier in carica aveva approvato la sua lista d'onore di nomine e decorazioni di fedelissimi ricompensati in veste di capo di governo uscente in forma decurtata: e senza l'inclusione di pretoriani quali l'ex ministra della Cultura Nadine Dorries, dimessasi a sua volta da deputata per protesta. Attacco la cui onda d'urto andrà ora misurata in concreto nei suoi effetti su governo e legislatura. Ma che potrebbe rivelarsi fatale.

Mentre BoJo, ringalluzzito nei mesi scorsi anche dal ruolo internazionale svolto durante la prima fase dell'invasione russa in Ucraina - e dai riconoscimenti a tutto tondo che continua a ricevere da figure come il presidente Volodymyr Zelensky - mostra, dimissioni a parte, di non avere alcuna intenzione di ritirarsi a vita privata. Tanto meno di chiudersi nel silenzio.