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Codice degli appalti, via libera del Consiglio dei ministri ma da Anac e costruttori arrivano critiche: ecco com’è

Il Consiglio dei Ministri ha approvato ieri il decreto legislativo con il codice degli appalti. Per la Lega il nuovo codice “significa appalti più rapidi, con un risparmio di tempo (per gli affidamenti senza gara si risparmiamo da sei mesi a un anno), più autonomia agli enti locali con particolare riferimento ai piccoli comuni, corsia preferenziale per le forniture italiane ed europee, digitalizzazione con risparmio di carta e incombenze burocratiche”.

Prevista la liberalizzazione sotto soglia: fino a 5,3 milioni affidamenti diretti

È prevista la cosiddetta liberalizzazione sotto soglia: fino a 5,3 milioni ci potranno essere affidamenti diretti. Dal primo gennaio tutti gli scambi di informazione avverranno su una piattaforma digitale nazionale, in modo che le imprese non debbano presentare la stessa documentazione più di una volta (risparmio di tempo, di costi, di carta). I piccoli Comuni potranno procedere ad affidamenti diretti fino a 500mila euro e per il primo anno avranno più opzioni per scegliere la stazione appaltante qualificata, allargando il recinto che prima prevedeva solo le Province. Non solo. I Municipi più piccoli avranno semplificazioni sul personale: le funzioni di Rup potranno essere affidate ai dipendenti in servizio anche con contratti a tempo determinato. Non manca la clausola per accelerare i pagamenti (è garantita la possibilità per l’esecutore di emettere fatture anche al momento dell’adozione del SAL)”.

Le proteste delle autorità anticorruzione e dei costruttori

Il governo non ha tenuto conto delle richieste dell’autorità anticorruzione e di quelle dei costruttori. Il presidente Anac Giuseppe Busia aveva infatti detto chiaramente di non condividere la possibilità per le stazioni appaltanti non qualificate di affidare lavori fino a 500mila euro: “È come permettere di guidare in città senza patente dove c’è il limite dei 50 km”, aveva avvertito.

Il codice degli appalti, si legge ancora nella nota del ministero delle Infrastrutture, rivisto e integrato alla luce delle osservazioni delle commissioni parlamentari, ha il pregio di procedere nella direzione della semplificazione, sburocratizzazione delle procedure e liberalizzazione – Uno strumento che mette in grado istituzioni e imprese di lavorare con celerità per fornire beni e servizi ai cittadini.

La digitalizzazione delle procedure: si parte dal gennaio 2024

Per fare una gara si risparmieranno dai sei mesi a un anno, grazie innanzitutto alla digitalizzazione delle procedure, in vigore dal 1 gennaio 2024. Una banca dati degli appalti conterrà le informazioni relative alle imprese, una sorta di carta d’identità digitale, consultabile sempre, senza che sia necessario per chi partecipa alle gare presentare di volta in volta plichi di documentazione, con notevoli risparmi di costi e soprattutto di carta. Una norma apprezzabile anche sotto il profilo ambientale.

Rivive l’appalto integrato e nessuna paura per la firma

Il contratto potrà “avere come oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori sulla base di un progetto di fattibilità tecnico-economica approvato. Inoltre, per garantire la conclusione dei lavori, si potrà procedere anche al subappalto cosiddetto a cascata, senza limiti”.
“Nessuna paura per la “firma“: niente colpa grave – continua la nota del Mit – per i funzionari e i dirigenti degli enti pubblici se avranno agito sulla base della giurisprudenza o dei pareri dell’autorità. Tutele simili per la delicata questione dell’illecito professionale.

Riviste le cause di esclusione. Entra il dissenso costruttivo

Nella riformulazione del codice si è proceduto a una razionalizzazione e semplificazione delle cause di esclusione, anche attraverso una maggiore tipizzazione delle fattispecie. In particolare, per alcuni tipi di reato, l’illecito professionale può essere fatto valere solo a seguito di condanna definitiva, condanna di primo grado o in presenza di misure cautelari.

“Piegato – prosegue la Lega – il partito dei No: è infatti previsto il dissenso qualificato, per superare gli stop degli appalti quando è coinvolta una pluralità di soggetti. In sede di conferenza di servizi l’ente che esprime il proprio no, non solo dovrà motivare, ma soprattutto fornire una soluzione alternativa.

Anche la valutazione dell’interesse archeologico, il cui iter, spesso lungo e articolato, rischia di frenare gli appalti, dovrà essere svolta contestualmente alle procedure di approvazione del progetto, in modo da non incidere sul cronoprogramma dell’opera.

Infine ma non ultima la salvaguardia del “made in Italy”: tra i criteri di valutazione dell’offerta è previsto come premiale il valore percentuale dei prodotti originari italiani o dei paesi UE, rispetto al totale. Una tutela per le forniture italiane ed europee dalla concorrenza sleale di Paesi terzi. Le stazioni appaltanti possono indicare anche i criteri di approvvigionamento dei materiali per rispondere ai più elevati standard di qualità. Tra i criteri premiali la valorizzazione delle imprese, che abbiano sede nel territorio interessato dall’opera”.