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Compiti a casa, in Italia il doppio di altri Paesi europei: giusto assegnarli?

La questione dei compiti a casa durante l'anno scolastico e nelle vacanze estive è polemica che torna periodicamente in Italia. E non solo. In Germania si discute se abolirli. La leader della Linke, gruppo della sinistra, Janine Wissler, ha detto: «Lo stress quotidiano da compiti a casa avvelena la vita famigliare, produce conflitti, pressioni, lacrime, alimenta aggressioni». Dall'altra parte il ministro della Cultura Michael Piazolo della Baviera: «Ammetto: anche io non sono sempre stato felice di dovermi sedere alla scrivania nel pomeriggio per fare i compiti in matematica o imparare i vocaboli. Ma ho anche capito che i compiti aiutano nell’apprendimento». Favorevole anche Heinz-Peter Meidinger rappresentante dell'associazione insegnanti. Il principale argomento contro i compiti è sociale oltre che scolastico: i compiti a casa sono iniqui perché non tengono conto delle differenze fra le famiglie e sulle disponibilità economiche.

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A riportare la polemica in Italia, oltre che il Tik Tok virale di una madre palermitana, anche il responsabile del Dipartimento istruzione della Lega, Mario Pittoni, per il quale i compiti dovrebbero essere svolti il più possibile in classe, così che non risulti svantaggiato chi non può essere seguito a casa. Ma quanti compiti arrivano? È Repubblica a fare i conti. L’indagine internazionale TIMSS 2019 (Trends in International Mathematics and Science Study) monitora l’efficacia educativa in Matematica e Scienze per gli alunni di quarta elementare e terza media in diversi paesi del mondo.

In quarta elementare i compiti a casa in Italia sono 3,3 volte superiori a quelli dati ai coetanei francesi e superiori del 50% se si fa il confronto con Spagna e Finlandia. Ne hanno una quantità simile solo i bambini tedeschi. Il discorso è simile in terza media. 

Negli anni tante opinioni sono state raccolte anche da Vanity Fair. Dario Ianes, docente ordinario di Pedagogia e Didattica Speciale all'Università di Bolzano e co-fondatore del Centro Studi Erickson di Trento: «Io sono convinto che la parte più importante dell’apprendimento vada fatta a scuola. Fuori, gli alunni possono sviluppare la loro cultura leggendo, esplorando il mondo che li circonda, maturando come cittadini che usano il sapere appreso a scuola: se in classe imparo a leggere posso scegliere un libro, se imparo la storia dell’arte vado al museo. Insomma, cresco come cittadino».

Il tema si è proposto soprattutto per le vacanze estive per cui molti consigliano solo la lettura. Ovviamente con la lettura non si ripassano matematica e fisica, ma qui il segreto è la misura. Non troppo è la soluzione. Per le lingue straniere si torna alla lettura, anche di riviste. Daniela, insegnante di Inglese alle superiori, tra i 50 finalisti del Global Teacher Prize, ha detto qualche anno fa a Vanity Fair: «Le vacanze sono soprattutto un momento per riflettere sulle proprie aspettative e per valutare le proprie competenze. Io chiedo ai ragazzi di leggere un libro o una rivista in lingua originale. Preferisco non esagerare». Discorso a parte va fatto per chi deve recuperare, ma qui entrano in gioco i corsi che le scuole organizzano. Qui i tempi sono stabiliti. Per gli altri vanno organizzati. 

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