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Difendere i diritti delle famiglie omogenitoriali equivale a tutelare la libertà dell’individuo

La polemica sulla gravidanza assistita per le coppie “omogenitoriali” con il corredo di parolacce televisive è l’ennesima occasione sprecata per la solita inutile battaglia ideologica, priva di ogni concretezza. Per i quattro lettori che avessero voglia di approfondire i temi proviamo a spiegare una questione complessa che politica e media avvolgono di ipocrisia.

Il tema ormai è vecchio di quasi quarant’anni: era il 1988 quando un ancora inesperto avvocato romano si trovò di fronte una giovane coppia di neo-genitori terrorizzati. Il loro ginecologo era divenuto improvvisamente celebre grazie al mitico giornalista Sergio Zavoli che in televisione lo aveva indicato alla nazione come autore della prima inseminazione eterologa in Italia. Non era stato fatto il loro nome, ma vista la cagnara mediatica e la notorietà del medico, temevano di essere individuati.

La Procura di Roma non si era fatta scappare l’occasione per aprire un fascicolo, come d’abitudine, ipotizzando il reato di «alterazione dello Stato civile» che prevede un massimo di dieci anni di reclusione, presupponendo che il neonato fosse stato dichiarato con una falsa attribuzione di maternità.

Dopo aver meditato a lungo, il giovane legale prese il coraggio a due mani e parlò col procuratore delegato, presentandosi come il difensore di due indagati (non identificati). ma che assicurava essersi presentati da lui per farsi assistere. Per sua fortuna il Pubblico Ministero lo prese sul serio e invece di cacciarlo in malo modo lo ascoltò pazientemente mentre gli spiegava come si era svolta l’inseminazione (la prima tecnica FIVET di trasferimento di un ovulo donato e fecondato nell’utero della madre) Il PM condivise la tesi difensiva secondo cui la ipotizzata “falsa attestazione di maternità” in realtà non ci fosse, al massimo si trattava di una compartecipazione di due madri.

Dopo circa 35 anni quella pratica è diventata legale grazie a uno dei primi interventi “manipolatori” della Corte Costituzionale contro una legge del 2004 che a sua volta aveva reso illegale la pratica per un decennio. Tradotto: oggi la fecondazione “eterologa” (per le coppie tradizionali), con la partecipazione di un donatore estraneo alla coppia è consentita con la solita pudibonda limitazione ai casi di acclarate patologie di infertilità.

Colpisce che le motivazioni e le condizioni poste dalla Corte Costituzionale ricordino assai da vicino quelle che la Consulta ha posto per il fine vita. Seppur collocate in due poli estremi dell’arco esistenziale, in entrambi i casi per la Corte sono uguali i motivi legati alla scelta tra una nuova vita e quella di porvi fine: la libera autodeterminazione, così come sono uguali i limiti:l’inevitabilità della malattia cui l’interessato ha diritto di opporsi.

Vale la pena leggere l’argomentazione centrale riguardo alle possibilità di accesso alle tecniche di procreazione medicalmente assistita; sul punto la Corte afferma che «la scelta di tale coppia di diventare genitori e di formare una famiglia che abbia anche dei figli costituisce espressione della fondamentale e generale libertà di autodeterminarsi, libertà che, come questa Corte ha affermato, sia pure ad altri fini e in un ambito diverso, è riconducibile agli articoli 2, 3 e 31 della Costituzione, poiché concerne la sfera privata e familiare. La determinazione di avere o meno un figlio, anche per la coppia assolutamente sterile o infertile, concernendo la sfera più intima e intangibile della persona umana, non può che essere incoercibile, qualora non vulneri altri valori costituzionali, e ciò anche quando sia esercitata mediante la scelta di ricorrere a questo scopo alla tecnica di PMA di tipo eterologo, perché anch’essa attiene a questa sfera».

Giuseppe Tesauro ne fu l’estensore e Gaetano Silvestri il presidente, detto a loro eterno merito: orbene proprio leggendo quella motivazione così asciutta e profonda è giusto chiedersi cosa impedisca oggi il medesimo riconoscimento anche alle coppie omosessuali dopo che la legge sulle unioni civili ha riconosciuto uniformità di diritti anche alle coppie dello stesso sesso. 

Questo oggi è il tema di un feroce scontro politico per stessa ammissione dei contendenti: il ricorso alle pratiche procreative per le coppie omosessuali e soprattutto il riconoscimento della piena affiliazione per la destra reazionaria della Garbatella costituisce l’estrema utopia della difesa della famiglia e dei valori di identità politica, mentre la liberalizzazione è diventata la bandiera della sinistra. Un’ottica deformante.

Una precisazione: non c’entra nulla il dibattito etico, per chi scrive, cattolico imperfetto e “compassionevole”, il modello di famiglia è unico ed è quello tradizionale ma in gioco c’è la libertà dell’individuo, la tutela dei suoi diritti e delle sue scelte di vita. È in ballo un elementare principio in base al quale ciò che non nuoce e danneggia la libertà degli altri è consentito e ancora, il senso etico di una maggioranza non può essere imposto a tutti.

Ma se le cose stanno così può uno Stato democratico permettere a una donna di interrompere una gravidanza e al contempo impedirle di donare una vita? Vediamo di capire come hanno ragionato sino a oggi le corti regolatrici del diritto, la Corte europea, la Consulta e le sezioni unite della Cassazione.

Si sono tutte attestate su una comune e fin troppo facile trincea: “il benessere del minore” che ha diritto a una famiglia senza discriminazioni di alcun tipo, neanche sessuali e peraltro non potrebbero fare diversamente perché da tempo è caduta ogni barriera divisoria sul concetto di famiglia.

Ciò che manca (ed è incomprensibile) è l’ultimo miglio che è, allo stesso tempo, breve e obbligato da percorrere: riconoscere anche alla coppia omosessuale la possibilità di ricorrere alla fecondazione eterologa in Italia come avviene per la coppia normale e la possibilità anche per il genitore “d’intenzione” di riconoscerlo come proprio.

Certo, bisognerebbe passare per la non indolore equiparazione dell’omosessualità a una patologia d’infertilità ma non sarebbe ostacolo insormontabile perché, come detto, la Corte Costituzionale ha introdotto la fecondazione eterologa alla stregua di un mezzo per la realizzazione di una famiglia come espressione di bene comune più che come cura. 

Sorprende allora che con le loro più recenti sentenze la Corte costituzionale e le sezioni unite civili (sia detto con il dovuto rispetto) si siano abbandonate a invocazioni retoriche sulla «dignità femminili» e ad argomentazioni come «la gestazione per altri lede la dignità della donna e la sua libertà anche perché durante la gravidanza essa è sottoposta a una serie di limiti e di controlli sulla sua alimentazione, sul suo stile di vita, sulla sua astensione dal fumo e dall’alcol e subito dopo il parto è sottoposta a limitazioni altrettanto pesanti causate dalla privazione dell’allattamento e dalla rescissione immediata di ogni rapporto con il bambino». che fanno pensare più a un pregiudizio patriarcale che alla logica asettica del giurista (sempre col dovuto rispetto).

E sia consentito anche a un umile scribacchino del diritto osservare una evidente contraddizione tra la ostentata tutela dei bisogni del minore come bene supremo e l’accettazione forzata di una soluzione come l’adozione, ripetuta ipnoticamente dalla ministra per la Famiglia, la Natalità e le Pari opportunità Eugenia Maria Roccella, che non equipara la condizione del minore a quella dei coetanei di nascita eterologa. 

La consulta si è invece sino a oggi cautamente astenuta aspettando che il Godot parlamentare pubblichi una legge che non arriverà, come è puntualmente successo per temi come il fine vita o su un altro versante l’ergastolo. Alla fine si aspetta furbescamente che la magistratura vi ponga rimedio, ma stavolta il tema è fin troppo scottante e divisivo. È un tema politico e va oltre il tema della parità di genere. 

Si dice a volte con ironico disprezzo della sinistra dei diritti quasi che principi come l’uguaglianza e le libertà fondamentali fossero roba da popolo delle ZTL Invece sono il sale di una democrazia. E parliamo di libertà perché ipotizzare un reato universale per una pratica consentita e perfettamente legale per le coppie “normali” può andare bene per l’Ungheria di Viktor Orbàn non per la settima potenza industriale. 

Eppure non è stato sempre così e sia consentito un ricordo caro al sottoscritto: una coppia di cattolici calabresi, fedeli elettori democristiani, la piccola dignitosa borghesia meridionale di mezzo secolo fa che si recava a votare per il divorzio dopo decenni di vita insieme, perché una cosa è la fede personale, altro la libertà di tutti. Erano parte di quel 60 per cento di italiani non di sinistra e cattolici che votarono No al referendum abrogativo. L’Italia «con gli occhi aperti nella notte triste» che non aveva paura della libertà come quella di oggi.