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Fair play di Landini verso Giorgia Meloni: una notte e è tornato il duro e puro militante della Cgil

Il fair play di Landini, il sogno è durato lo spazio di un mattino. Il tempo di rileggere quel che Giorgia Meloni aveva detto al congresso della Cgil.

L’invito, il rispetto per le parole di Maurizio Landini, il cambio di passo pur nella divergenza delle opinioni sono stati spazzati via.

Dopo una sola notte (forse insonne) il segretario del più grande sindacato italiano è tornato quello di una volta. Non più ossequioso e diligente nei confronti di una persona che lui stesso aveva voluto a Rimini, ma il duro e puro militante della Cgil che in un amen ha dimenticato il passato e si è scagliato con violenza contro il presidente del onsiglio.

Che cosa è successo per far cambiare in poche ore il suo atteggiamento? Ufficialmente nulla, ci mancherebbe altro. Solo nella quiete di una stanza il vecchio Pci risolveva i suoi problemi e nascondeva i suoi dissensi all’interno. Tutto questo è successo anche a Landini?   

Non  lo si saprà mai, ma è certo che qualche dirigente molto in alto della Cgil deve aver storto la bocca e sia pure con tanta diplomazia (o forse no) deve aver sottolineato gli “errori” che aveva fatto prima che Giorgia parlasse alla platea.

E’ fuor di dubbio che il dissenso fosse già palese, altrimenti un gruppo di congressisti, vestiti con la maglietta rossa e il pugno alzato (caro ai militanti di un tempo passato) non avrebbe protestato all’inizio della manifestazione. “Sono pochi, non hanno nessun peso”, si era affrettato a spiegare un esponente assai vicino alla segreteria.

Ma se dobbiamo stare ai fatti e a quel che ha detto Landini il giorno dopo qualche perplessità se la pone chi ha potuto toccare con mano questo “capovolgimento” del number one della Cgil.

“Bisogna ascoltare la voce di chi non la pensa come noi, dobbiamo rispetto ai nostri ospiti che abbiamo invitato”. Parole di uomo saggio, di un oppositore che non considera gli avversari dei nemici. Insomma, una pace che aveva meravigliato gli osservatori compiaciuti dal pensiero di Landini.

Ventiquattrore dopo tutto è tornato come una volta quando gli attacchi a chi non la pensava come loro doveva essere messo all’angolo e magari dilapidato. A leggere il discorso-replica del segretario qualcuno non avrà creduto alle sue orecchie. Il ritornello aveva il solito refrain, quello di venti anni fa.

Con tutta probabilità, la “comprensione” di Landini deve aver spiazzato gli oltranzisti ed anche una parte di quella stampa che non gradisce i retromarcia .

Basta dare un’ occhiata ai quotidiani del giorno dopo per convincersi che il braccio di ferro deve esserci stato senza morti e feriti, ma certamente con la chiarezza dovuta. Sono le stesse crepe che affannano il Pd da quando Elly Schlein si è seduta sulla poltrona di via del Nazareno.

Intuendo quel che voleva la base dopo la sua elezione, la segretaria si era affrettata a dire che la musica sarebbe cambiata, che gli errori del passato non si sarebbero ripetuti e che la classe dirigente che fino a quel momento aveva menato le danze non avrebbe più avuto voce in capitolo.

Così la crisi delle correnti non si è dissipata, anzi al contrario si è acuita. Falchi contro colombe con i cattolici “piddini” schierati in  prima linea. Gli anni difficili per cambiare il volto di un partito che doveva essere progressista, ma moderato, venivano travolti dal vento di una certa base che voleva tornare al passato quando il sindacato dettava legge e riempiva le piazze affollate da migliaia di persone. Che fare allora? La Schelin doveva cacciare subito “quei professionisti del voto clientelare”. In parole semplici  i moderati del Pd che con la Elly alla guida non si sentivano più protetti.

I falchi all’assalto dunque e a chi chiedere aiuto se non a chi dirigeva l’informazione? Amici fidati su cui si poteva contare al cento per cento. Titoli di quotidiani ad effetto, trasmissioni in tv  completamente schierate. Addittura con un giornalista immortalato in una foto del congresso di Rimini in compagnia dei massimi dirigenti della sinistra con l’unica eccezione di Carlo Calenda, che considerava “pecoroni” coloro i quali fischiavano o applaudivano senza nemmeno ascoltare chi non era vicinissimo alle loro idee.

Che cosa significa tutto questo? Che bisogna dire addio alla trasformazione di un partito che si avvicinava a grandi passi verso una socialdemocrazia assai diffusa in Europa? Chissà, ce lo potrà dire solo il tempo.