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Il deficit d’attenzione e la spunta blu a pagamento nel mondo in cui tutto è gratis

Non vorrei sembrare una insopportabile controcorrentista, ma non sono d’accordo con chi dice che i due fatti che convergono a costituire la trama di questa settimana siano il rinvio a giudizio di Donald Trump e l’assoluzione di Gwyneth Paltrow, avvenuti nelle stesse ore.

Mi sembra, invece, che a convergere con la vicenda giudiziaria del fu presidente degli Stati Uniti siano le gesta d’un altro riccastro antipatico alla gente che piace, Elon Musk, che nei giorni scorsi ha annunciato che la spunta blu – lo status symbol che quest’epoca si può permettere – sarà solo a pagamento.

Il New York Times ha pomposamente annunciato che non pagherà gli spicci necessari a ufficializzare il proprio account, e questo annuncio mi pare contribuisca a molti degli imbarbarimenti in corso.

Il primo è la convinzione che qualcosa – qualunque cosa – possa essere gratis. In questi giorni su Twitter s’è visto di tutto, al fascicolo «ribellione della gente che ritiene che postare sui social sia un diritto costituzionale garantito». L’altro giorno m’è comparso un disegnatore di fumetti (da quando Elon ha cambiato l’algoritmo, mi compare gente che non ho la più pallida idea di chi sia) che indignato annunciava che ad aprile lascerà Twitter: non esiste che lui generi traffico regalando contenuti alla piattaforma, ed Elon non solo ci metta la pubblicità ma voglia pure essere pagato.

Questo della pubblicità è un altro filone di delirio. Gente altrimenti sana di mente ti spiega che è molto turbata dai tweet sponsorizzati. Sono gli stessi che per anni ti hanno spiegato che dovevi installare un software che non facesse comparire la pubblicità sui giornali on line. Chissà come pensano si mantengano i giornali, o i server di Twitter: la pubblicità c’infastidisce, pagare non se ne parla, però vogliamo contenuti di qualità.

(Forse pensano che i server siano gratis. D’altra parte se pensassero a quanto costano sarebbero costretti a pensare anche a quanto inquinano. A quanto sia paradossale rompere i coglioni per l’uso degli aerei privati, se la tua critica la articoli usando Instagram, i cui server inquinano come parecchissimi voli).

Un altro imbarbarimento in corso è la deriva, già vista su social che poi inevitabilmente hanno chiuso, «sui social si parla di come sono i social». Prima di fare un tweet sul fatto che l’algoritmo ti fa vedere cose diverse da quelle cui eri abituata, ti sei chiesta se sia un tema di conversazione avvincente? Prima di annunciare che tu crei contenuti gratis e non esiste che ti chiedano di pagare, ti sei chiesto quanto ce ne importi della tua autostima?

(Questa dicitura della «creazione di contenuti» mi fa venire in mente ogni volta l’«idee, creatività, atmosfere, contatti» con cui trent’anni fa la p.r. accoglieva Nanni Moretti a Panarea promettendogli Helmut Berger in mutande, un elefante bianco per una cena esotica, un watusso per animare una serata mondana. Queste accendono la telecamera del telefono prima di truccarsi, ci mettono la sigla GRWM, Get Ready With Me, e lo chiamano lavoro. La Panarea di Nanni era Bloomsbury, in confronto).

Cosa lega il disegnatore che strepita perché i miliardari proprietari di piattaforme non riconoscono il suo apporto e il forse miliardario ex presidente che verrà processato? Che il secondo è un carattere, una personalità, uno che non confondi con tutti gli altri. Uno dei figli di Trump (non so neanche quale) ha stigmatizzato la persecuzione nei confronti del padre, e sotto al video una giornalista americana ha scritto «Jeremy Strong sarà perfetto». Jeremy Strong è Kendall, il figlio disadattato in Succession, e io non sono più riuscita a guardare quel video senza pensare: è la copia di Succession.

Il padre no, il padre è una matrice, non somiglia a nessuno come a nessuno somigliava il Joker fatto da Jack Nicholson, lo guardi e pensi che quel personaggio lì l’ha inventato lui, non ti sembra d’averlo già visto in mille repliche.

Un’amica mi ha detto che in Finlandia ci sono le elezioni, Sanna Marin si ricandida. Ho detto ma non si era dimessa, non voleva più tempo per sé stessa? Ma no, quella è la neozelandese, Jacinda Ardern, Sanna Marin è quella che balla: com’è che mi fate tutte la stessa obiezione? Perché un’osservatrice mediamente distratta mica distingue tra due quasi coetanee coi capelli lunghi e nessun impatto culturale. Perché è tutto un Grande Indifferenziato, dal quale ogni tanto emerge un carattere, magari pessimo ma che comunque si staglia.

Se Trump viene espulso da Twitter, al suo posto resta il segno col gesso fatto intorno al cadavere come nei film noir: non lo puoi sostituire, al massimo puoi dimenticartene. Se il disegnatore non mette più i suoi disegni su Twitter, ci rimette solo lui, che non potrà più pubblicizzarsi. Invece di ripetere sciattamente che «se è gratis, il prodotto siamo noi», proviamo a chiederci che razza di prodotto siamo: c’è richiesta? O stiamo semplicemente usando degli strumenti gratuiti nella speranza di crearla, quella richiesta? E che prodotto siamo se, nella promozione di noi stessi, non siamo disposti a spendere sette dollari al mese?

E quindi mentre tutti parlavano di Trump, nel filone «social che parlano di social e la morte per noia che ne consegue» il New York Times annunciava che non avrebbe pagato la spunta blu per gli account del giornale, né l’avrebbe rimborsata ai suoi giornalisti. Se la caveranno lo stesso, quelli con abbastanza personalità da essere inconfondibili. Il guaio sono gli altri, cioè quasi tutti.

A mezzanotte di venerdì un account con la fotina di Hillary Clinton ha twittato: «Lock who up, bitch?» (mettete in galera chi, stronzo?), ricalcando lo slogan «Lock her up» (mettetela in galera) che Trump usava contro Hillary in campagna elettorale.

Alle nove di mattina il tweet aveva un milione e ottocentomila visualizzazioni: quanti di questi erano abbastanza svegli da pensare che era abbastanza improbabile Hillary twittasse una frase del genere e da notare che lo username era HillaryC11nton? Una minoranza, mi ci gioco un soldino (Twitter ha poi sospeso il profilo).

Sarebbe stato diverso se ci fossero state le spunte blu, più solide della pretesa che la gente sappia distinguere (in generale, e particolarmente quando ha l’attenzione che ha per i social, passatempi che si sfogliano al cesso)? Le spunte blu ci hanno forse salvato dal credere al Papa vestito da sci?

Ieri mattina qualcuno ha postato una (finta, occorre specificare) prima pagina del NYT in cui Trump era in un angolino, e il titolo d’apertura era per Gwyneth Paltrow. Metà dei commenti a quel tweet la prendeva per vera: pensavano di vivere in un mondo in cui davvero il Times può aprire con Gwyneth Paltrow e non con Trump, non essendo in grado di distinguere il Times da People, o Trump dalla Paltrow.

Vogliamo illuderci che le spunte blu possano ovviare alla mancanza d’attenzione indotta da un mondo in cui tutto è gratis e quindi a niente prestiamo attenzione e nulla guardiamo applicando una qualche forma d’intelligenza, o vogliamo prendere atto del disastro già avanzato?