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Il grande sonno del centrosinistra europeo in vista delle elezioni del 2024

Silvio Berlusconi, in una intervista a Il Giornale, ha aperto le danze in vista delle elezioni europee del 2024 o meglio è entrato nelle danze aperte da Manfred Weber, capo gruppo e presidente del Partito popolare europeo, che sta da tempo lavorando su questa ipotesi con Giorgia Meloni.

L’idea di un’alleanza intergovernativa di centro-destra – che getti alle ortiche la storica grande coalizione fra popolari e socialisti insieme ai liberali – che ha consentito al Ppe di tenere in pugno per otto volte su quattordici la presidenza della Commissione europea dalle sue origini a oggi con le eccezioni in sessantacinque anni del liberale Rey, del gollista Ortoli, del laburista Jenkins, del liberale Thorn, del socialista Delors e dell’ulivista Prodi – piace a molti ambienti del Ppe e non dispiace a vari esponenti della destra europea che, giunti al governo nel loro paese, attendono ora di conquistare anche il “governo” europeo.

Ci sono, come sappiamo, vari ostacoli sulla via del disegno di Weber e ora di Berlusconi. Essi iniziano dalla dichiarata ostilità di alcuni partiti del Ppe – a cominciare dalla Cdu e dalla Csu per finire ai popolari polacchi della Piattaforma civica di Donald Tusk – a una alleanza con Giorgia Meloni e ancor di più con Matteo Salvini sia in nome delle tradizioni europeiste di una cultura che ha dato molti “padri” all’Europa sia per la difficoltà di stringere a casa alleanze politiche per ora escluse da basi elettorali centriste e da non sopite ostilità.

Essi proseguono con i dubbi di Giorgia Meloni di voler abbandonare il vertice del Partito dei conservatori e riformisti Ecr e con esso sodali europei come Vox in Spagna e il PiS in Polonia ma anche le malcelate simpatie per Viktor Orban i cui membri nel Parlamento europeo sono per ora parcheggiati fra i non-iscritti così come le reticenze di Matteo Salvini a lasciare il gruppo Identità e Democrazia con Marine Le Pen che sogna l’Eliseo nel 2027.

Essi si scontrano infine con il sistema europeo in cui la Commissione europea deve certo ottenere la fiducia politica di una maggioranza assoluta nel Parlamento europeo con un presidente scelto dalla maggioranza qualificata del Consiglio europeo ma che nasce da scelte intergovernative in cui i singoli commissari sono espressi dai governi nazionali dove siedono anche socialisti, liberali e verdi che non rinunceranno mai ad esprimere un “loro” commissario.

L’idea di sostituire nel 2024 la maggioranza “Ursula” del 2019 – a cui avevano aderito i Cinque Stelle e poi i Verdi ma da cui si erano dissociati Fratelli d’Italia e la Lega ma che comprendeva tuttavia un commissario polacco ed uno ungherese espressi dai partiti al governo – con una maggioranza di centro-destra o di destra-centro che escluda i socialisti e i verdi ma tenti di imbarcare i macroniani di Renew Europe sollecita gli interessi di potere di chi sta già al governo nazionale ed è sospinta dalla distanza crescente con le “sinistre” su questioni essenziali come l’ambiente, i diritti, le politiche migratorie e il welfare.

Con qualche rara eccezione, socialisti e verdi ma anche i liberali macroniani per non parlare delle sinistre che stanno fuori da quasi tutti i governi nazionali tacciono di fronte all’embrionale accordo di centro-destra e restano per ora chiusi ciascuno nel suo campo immaginando che nel 2024 potrebbe essere confermato il metodo degli Spitzenkandidaten, apparentemente applicato con Jean-Claude Juncker solo nel 2014, cercando di imporre nel 2024 al Consiglio europeo il candidato del partito europeo di maggioranza relativa sperando i socialisti di scalzare la leadership del Ppe.

Se la scelta europea di una alleanza di centro-destra – fondata su una crescente visione sovra-nazionalista ed immobilista del futuro dell’Europa in materia ambientale, di politiche migratorie, di liberismo economico e di rigido conservatorismo etico insieme ad una incerta collocazione neo-atlantica – dovesse prevalere in campagna elettorale attraverso un comune programma e un comune candidato sarebbe difficile capire le ragioni politiche ed elettorali di socialisti, verdi e di una maggioranza di liberali a rimanere inchiodati al metodo di uno Spitzenkandidat per famiglia politica lasciando al negoziato post-elettorale la decisione su una maggioranza parlamentare che corrisponda al variegato panorama politico dei governi nazionali.

La strada alternativa alle danze europee avviate da Weber e Berlusconi – che condurrebbero il centro-destra sempre più lontano dal popolarismo cristiano ed europeista che ha caratterizzato la nascita delle Comunità europee con Schuman, De Gasperi e Adenauer – dovrebbe essere invece quella di una alleanza di innovatori che coniughi le scelte delle policies in materia ambientale, migrazione, welfare, sicurezza e diritti con delle scelte di politics fondate sul futuro di un’Unione che abbandoni i nazionalismi e le sovranità assolute e scelga la via del federalismo europeo nata nella resistenza al nazi-fascismo.

Ciò implica l’abbandono del metodo degli Spitzenkandidaten che dividerebbe inevitabilmente le famiglie politiche del centro-sinistra puntando su un programma comune, su comuni candidati-commissari alle elezioni europee e sulla indicazione di una maggioranza coesa nel futuro Parlamento europeo che dovrà assumere un ruolo costituente.

Questa strada dovrebbe essere accompagnata e rafforzata da due scelte apparentemente dirompenti ma conformi alla lettera e allo spirito originario del Trattato di Lisbona: a) una Commissione composta da un numero di commissari inferiori a quello dei paesi membri anche in vista dell’allargamento che dovrebbero essere diciotto in una Unione a 27 e ventiquattro in una unione a 36; b) l’unificazione delle presidenze della Commissione europea e del Consiglio europeo. Così facendo le elezioni europee del 2024 diventerebbero il terreno di uno scontro politico sul futuro dell’Europa.