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Il Pd non parla di Bibbiano neanche ora che potrebbe infine recuperare l’onore

L’ultimo giapponese rimasto nella giungla demogrillina, Nicola Zingaretti, ieri al Corriere della Sera ha ribadito che nella scorsa legislatura con i Cinquestelle «abbiamo costruito l’unico progetto politico credibile per arginare le destre». Tre bugie in poche parole. Non era l’unico progetto, non era credibile e non è servito ad arginare le destre. Ma Zingaretti a quel tempo era innamorato di Giuseppe Conte, «il punto di riferimento dei progressisti», e in fondo al cuore forse lo è anche oggi, che – ammette – il Partito democratico è senza una linea, una pesante critica a quella Elly Schlein da lui chiamata nei contatti privati «la matta».

In tutta l’intervista l’ex segretario del Partito democratico non trova il modo per spendere una parola sul fatti del giorno, cioè il caso Bibbiano con l’assoluzione in secondo grado dello psicoterapeuta Claudio Foti (il fatto non sussiste) dalle accuse di manipolazione delle testimonianze dei bambini.

Di fatto, Zingaretti è in buona compagnia perché incomprensibilmente ad attaccare gli sciacalli di ieri (Conte, Luigi Di Maio, Matteo Salvini, Giorgia Meloni) ci hanno pensato solo Carlo Calenda e soprattutto Matteo Renzi, mentre si è “ascoltato” un silenzio inspiegabile da parte di Elly Schlein e degli altri dirigenti dem. A parte uno della vecchia guardia come Piero Fassino: «Le cose sono adesso chiare in modo inequivocabile. Ci fu una vergognosa aggressione che, avvalendosi di una vicenda giudiziaria, infangò il Partito democratico e i suoi amministratori. Di questa campagna calunniosa e indecente sul piano morale e politico, qualcuno chiederà scusa?».

Il silenzio del gruppo dirigente forse si spiega con la volontà di non fare la cosa che sarebbe automatico fare: prendersela soprattutto con Giuseppe Conte (e Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista) che sulla montatura di Bibbiano costruirono una linea politica lucrando bei voti su una presunta terribile vicenda. Li ricordate, no? «Mai con il Pd, mai con il partito di Bibbiano che toglieva i bambini alle famiglie con l’elettroshock per venderseli», tuonava nel luglio 2019 l’allora plenipotenziario pentastellato Di Maio, che solo tre anni dopo andava a scodinzolare davanti alla ciotola preparata da Enrico Letta per entrare in Parlamento – e nemmeno prese il quorum.

Conte faceva il sostenuto perché era presidente del Consiglio e non infieriva ma lasciava che i suoi azzannassero il Partito democratico godendo delle difficoltà di questo partito che era all’epoca all’opposizione.

Di Salvini è meglio non parlare perché il ricordo della senatrice leghista Lucia Borgonzoni – che in aula che si leva la giacca e mostra la maglietta bianca con la scritta “parlateci di Bibbiano” – suscita ancora un certo ribrezzo.

E poi, dulcis in fundo, c’era lei, Giorgia Meloni, all’epoca ancora ben dentro la parte della militante post-missina, con il cartello «siamo stati i primi ad arrivare saremo gli ultimi ad andarcene» in una parossistica corsa alla strumentalizzazione di un caso che non c’era.

Il saggio Pierluigi Castagnetti due sere fa twittava: «A quest’ora ancora nessuno ha chiesto scusa per avere utilizzato la sofferenza di bambini per una speculazione elettorale». Aspetta e spera, caro Castagnetti. Non esiste più la dignità dell’ammissione dell’errore, l’inevitabilità dell’allargamento delle braccia in segno di scuse, neanche solo il dubbio di aver sbagliato. Sono cose che non si usano più, nel tempo del presentismo mediatico. Ammettere non fa notizia. Alla stregua del politico arrestato e poi rilasciato con tante scuse – ormai è distrutto –, a che serve constatare l’errore, eppure Dante – lo scrisse anni fa Paolo Di Stefano – non avrebbe scritto la Commedia se non avesse riconosciuto di aver smarrito «la diritta via».

Macché, qui le cose scivolano via nel fumo della memoria. D’altra parte il Partito democratico si occupa più dei vicepresidenti del gruppo parlamentare che di questi fatti che pure gli hanno fatto male e avrebbe tutto l’interesse, oltre che tutto il diritto, a pretendere le scuse di tre quarti del mondo politico.

E così, a parte un tweet di Calenda, l’unico a picchiare duro contro i grillini, Salvini e Meloni è stato Matteo Renzi. Piaccia o non piaccia è toccato a lui difendere l’onore di quel Partito democratico che stava per abbandonare: sono le strane vendette della Storia. Sul suo Riformista Renzi è stato pesante: «Domando a Giorgia Meloni: cara presidente, hai detto che sei stata la prima ad arrivare e che saresti stata l’ultima ad andartene. Bene. Hai l’occasione. Chiudila tu la vicenda Bibbiano. Chiedi scusa. E poi spegnila tu la luce così che nessuno si accorga di chi ha la faccia rossa di vergogna». Anche stavolta, Elly Schlein non l’abbiamo vista arrivare.