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Insegnante accoltellata: i segnali d'allarme che possono anticipare un gesto estremo secondo lo psichiatra

Che cosa sia scattato esattamente nella mente del 16enne che lunedì mattina in un liceo scientifico della provincia di Milano, armato di coltello da caccia e pistola giocattolo, ha aggredito la sua professoressa di Italiano, ferendola a un braccio e alla testa, minacciando poi i compagni con la pistola e ferendo infine se stesso con la medesima arma da taglio, non possiamo saperlo con certezza. Quel che è certo è il profondo disagio psicologico in cui versano oggi molti adolescenti, a causa della recente pandemia, ma non solo.

«La scelta di un adolescente di compiere un’aggressione allo scoccare della prima ora del lunedì, è solitamente il risultato di una complessa combinazione di fattori», commenta Enrico Zanalda,  Presidente della Società di Psichiatria Forense. «Potrebbero nascondersi alla base disturbi psichici e/o uso di sostanze d’abuso che, soprattutto se presenti entrambi, aumentano il rischio di comportamenti violenti. Generalmente vi è comunque un fattore scatenante come essere o ritenersi vittima di bullismo o di altri torti che può scatenare azioni di rabbia e vendetta».

È possibile prevedere quando una minaccia si concretizza in un’azione violenta?


«Prevedere quando l’evento si concretizza è estremamente difficoltoso. Tuttavia, ci sono alcuni segnali di allarme che possono essere colti purché vi sia un’adeguata comunicazione tra ambiente scolastico e ambiente familiare. Se i due mondi non comunicano, difficilmente si ha una completa conoscenza dell’adolescente che consente di prevedere una parte di questi drammi. Altrimenti solo affermazioni esplicite sulle proprie intenzioni possono far prevedere l’episodio drammatico».

Quali sono i segnali d'allarme che possono essere colti in famiglia e a scuola?
«Un cambiamento immotivato da parte dell’adolescente che può manifestarsi con una riduzione delle prestazione scolastiche, una maggiore irritabilità, una minore comunicazione con gli altri (anche con i coetanei), variazioni drastiche dei gusti, l'insorgenza di insonnia, insofferenza marcata delle regole o degli orari».

C'è qualcosa che gli insegnanti, in particolare, tendono a sottovalutare negli adolescenti di oggi?


«Gli insegnanti si stanno rivelando alquanto attenti, viste anche le numerose ore che trascorrono con loro, dimostrando di cogliere le abitudini di gruppo. Potrebbero esserci delle difficoltà relazionali che il ragazzo può avere in famiglia e che non fa trasparire in nessun modo, neppure con i compagni».

L'istituzione di uno psicologo scolastico potrebbe aiutare?


«Potrebbe essere utile, soprattutto se i ragazzi hanno un accesso agile, magari anticipando i colloqui individuali con sessioni di gruppo che fanno da screening. È molto importante cogliere il clima delle classi e i rapporti con gli insegnanti per poter offrire degli strumenti utili a gestire reciproci approcci».

I ragazzi che hanno assistito all’evento sono stati testimoni passivi della violenza: quali potrebbero essere gli effetti su di loro?


«Gli studenti che sono testimoni passivi di una violenza possono sviluppare sintomi di stress acuto, tra cui incubi, ansia, irritabilità, e difficoltà di concentrazione. La violenza può creare un senso di paura e insicurezza tra gli studenti, che potrebbero vivere l’ambiente scolastico come insicuro. A più lungo termine, l'esposizione alla violenza può aumentare il rischio di sviluppare problemi di salute mentale, come depressione e ansia o il disturbo post traumatico da stress».

Come si interviene in questi casi?
«La chiave per mitigare questi effetti negativi è un intervento tempestivo di debrefing da attuare prontamente in gruppo con una chiara analisi di quanto accaduto. Molto importante ascoltare i ragazzi e le loro domande in proposito agli avvenimenti a cui hanno assistito».

E se il debriefing non basta a mitigare un disturbo post traumatico da stress?
«Per quei ragazzi per cui non è sufficiente il debriefing, si deve organizzare un supporto psicoterapeutico. Le scuole dovrebbero disporre di risorse per la consulenza psicologica e dovrebbero incentivare la comunicazione con le famiglie per individuare le situazioni di possibile sofferenza e disagio dei ragazzi, dentro e fuori dalla scuola».

Che cosa rischia adesso l'adolescente che ha commesso questo gesto estremo?
«La giustizia minorile è riparativa e non si tende a punire ma ad aiutare a superare il problema. Nel caso specifico, ritengo che il ragazzo possa rischiare di dover stare in comunità per un po’ di tempo, ma gioca un ruolo molto importante il suo livello di collaborazione che può semplificare o complicare l'iter».