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“L’inquinamento da Pfas in Trentino? Legato a vecchie industrie”, l’Appa: “Situazioni monitorate con attenzione senza trascurare nulla”

TRENTO. “Abbiamo dimostrato, dati alla mano, che il monitoraggio sulla presenza di Pfas nelle acque è costante e che tutte le situazioni sono sotto controllo”, così il vicepresidente e assessore all’ambiente della Provincia di Trento, Mario Tonina, replica alle preoccupazioni emerse dopo l’inchiesta del quotidiano francese Le Monde, che ha svelato l’esistenza in Europa di molti siti inquinati. L’occasione è stata la presentazione del nuovo sito internet dell’Appa, l’Agenzia provinciale per la protezione dell’ambiente, che è stato completamente rinnovato.

“Attraverso il nuovo sito saranno messe in rete moltissime informazioni e anche nuovi servizi dedicati ai cittadini”, osserva Cristiana Pretto dell’Unità di missione strategica semplificazione e digitalizzazione. Dati che però devono essere “maneggiati” con cura, sottolinea il dirigente generale del Dipartimento territorio e trasporti, ambiente, energia, cooperazione Roberto Andreatta. “Altrimenti – avverte – il rischio è quello di ingenerare allarmismi immotivati, come avvenuto di recente”.

La dirigente del settore qualità ambientale dell’agenzia, Raffaella Canepel, parla invece dell’Appa come di una “scatola di vetro trasparente”, uno strumento in più al servizio della cittadinanza. “In Trentino – ricorda – non ci sono dati allarmanti sull’inquinamento da Pfas ma solo situazioni che stiamo monitorando con attenzione senza trascurare nulla”.

Le sostanze perfluoroalchiliche (Pfas) sono un vasto e complesso gruppo di composti costituiti da una catena carboniosa di lunghezza variabile, più o meno ramificata, e da un gruppo terminale polare (che rende i composti solubili in acqua). Fra quelle più conosciute ci sono l’acido perfluoroottansulfonico (Pfos) e l’acido perfluoroottanoico (Pfoa). Il problema principale di queste sostanze è che sono incolori e inodori, inoltre tendono a non degradarsi diventando potenzialmente pericolose per l’ambiente e la salute umana.

Un tempo questi composti erano molto utilizzati. I Pfas per esempio si trovano comunemente in molti prodotti per la casa (come le pentole antiaderenti) che una volta utilizzate e lavate possono rilasciare queste sostanze che entrano nel flusso delle acque reflue. Non solo perché molte industrie legate alla produzione di tessuti, carta e prodotti di elettronica utilizzano queste sostanze nei loro processi di lavorazione. Persino le schiume antincendio un tempo contenevano Pfas e trattandosi di molecole altamente persistenti queste possono ancora essere rilevate nelle acque. Infine i Pfas possono fuoriuscire dalle discariche ed entrare nelle acque sotterranee e superficiali.

In Trentino sono sostanzialmente tre le situazioni monitorate da vicino dall’Appa. “La prima per certi versi è emersa nel 2018 in maniera inaspettata – afferma Canepel – e riguarda la zona del fiume Chiese dove venne identificata una leggera contaminazione”. A quel punto i tecnici dell’Appa si sono messi a scandagliare il corso del fiume fino a nord di Condino. Attualmente esistono alcune ipotesi sull’origine degli inquinanti da Pfas ed è in corso uno studio che coinvolge l’Università di Trento. “In generale – precisa la dirigente – si tratta di contaminazioni ‘storiche’ che sono legate a precedenti attività industriali, infatti quando queste sostanze si diffondono nella falda la contaminazione rimane e può essere rilevata a distanza di molto tempo”.

Le altre situazioni attenzionate da Appa interessano il rio Coste e il Lavisotto. “Sulla falda di Rovereto sappiamo con precisione che l’origine degli inquinanti è legata a un insediamento industriale – dichiara il dirigente generale di Appa Enrico Menapace – per questo sono state avviate le procedure per completare la caratterizzazione del sito”. In ogni caso, conclude Canepel, le contaminazioni riguardano attività industriali del passato: “Le quantità di Pfas rilevate sono modeste ma comunque non vengono mai trascurate”.