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La Cina prende l'Honduras e ruba un altro alleato a Taiwan

meno alleati / Taiwan

L'isola rivendicata da Pechino si trova ormai riconosciuta da soli 13 Stati al mondo, compresa Città del Vaticano, unico partner ufficiale in Europa

Quando la presidente dell'Honduras Xiomara Castro ha annunciato questo mese che il suo governo avrebbe stabilito relazioni diplomatiche con la Cina, l'eco della sua decisione ha superato i confini del Paese centroamericano abitato da 10 milioni di persone. Per molti, il riposizionamento dell'esecutivo guidato da Castro è l'ennesima conferma della crescente influenza della Cina sulla scena mondiale.

Già durante la campagna presidenziale, Castro, aveva detto che avrebbe rafforzato le relazioni con Pechino. L'ultima spinta verso l'abbandono dei rapporti con Taipei è arrivata nelle scorse settimane. A ufficializzare l'annuncio è stato il ministro degli Esteri cinese Qin Gang, che nella giornata del 26 marzo ha siglato con l’omologo dell’Honduras, Eduardo Enrique Reina, una dichiarazione congiunta per porre fine alle relazioni con Taiwan risalenti agli anni '40. In una breve dichiarazione, il ministero degli Esteri dell'Honduras ha affermato di aver riconosciuto la Repubblica popolare cinese come l'unico governo legittimo che rappresenta tutta la Cina e che Taiwan è una "parte inseparabile del territorio cinese", in base alla politica della "unica Cina".

La diplomazia del dollaro

Da Taipei arriva però una versione più chiara. Parlando dalla capitale dell'isola poco dopo l'annuncio dell'avvio delle relazioni tra Tegucigalpa e Pechino, il ministro degli Esteri di Taiwan, Joseph Wu, ha detto che Castro, che è entrata in carica all'inizio dello scorso anno, e il suo governo hanno "sempre nutrito illusioni" sulla Cina e gli "adescamenti" di Pechino non si sono mai fermati. A cosa si riferisce il capo della diplomazia di Taipei? Wu ha infatti denunciato che l'esecutivo guidato da Castro avrebbe chiesto a Taipei "miliardi di dollari in un'enorme assistenza economica e ha confrontato i prezzi per i programmi di assistenza forniti da Taiwan e dalla Cina". Il ministro degli Esteri taiwanese ha raccontato che il suo omologo dell'Honduras ha scritto a Taiwan il 13 marzo - il giorno prima dell'annuncio di Castro - chiedendo un totale di 2,45 miliardi di dollari in aiuti, inclusa la costruzione di un ospedale e di una diga, oltre alla cancellazione del debito. "Sembrava che quello che volevano erano i soldi, non un ospedale", ha dichiarato Wu.

Il ministro honduregno Reina da parte sua ha detto all'agenzia stampa Reuters la scorsa settimana che la cifra di quasi 2,5 miliardi di dollari "non era una donazione", piuttosto "un meccanismo di rifinanziamento negoziato". Della richiesta finanziaria non c'è però traccia né nelle dichiarazioni cinesi né in quelle honduregne.

Pechino, che accoglie l'ennesimo Paese sotto il suo ombrello diplomatico, respinge le accuse di Taipei e Washington, con quest'ultima particolarmente preoccupata per l'espansione della Cina nel "cortile di casa" e la conseguente fuga degli alleati centroamericani di Taiwan. Il Dipartimento di Stato americano ha affermato che mentre la mossa dell'Honduras è stata una decisione sovrana, è importante notare che la Cina "spesso fa promesse in cambio di riconoscimento diplomatico che alla fine non vengono mantenute". Gli Stati Uniti alludono a quella che definiscono un esempio di "diplomazia del dollaro" da parte di Pechino, che conquista alleati promettendo aiuti e ingenti finanziamenti ai progetti di sviluppo. "Una gara insensata", è invece il pensiero della presidente taiwanese Tsai Ing-wen, a cui l'isola non intende partecipare.

Il gigante cinese ribatte, definendo come "senza precondizioni" la decisione dell'Honduras di allacciare relazioni diplomatiche con Pechino. "L'instaurazione di relazioni diplomatiche non è una merce di scambio", ha dichiarato la portavoce del ministero degli Esteri cinese, Mao Ning, citando anche i casi di altri quattro Paesi dell'America centrale (Panama, Repubblica Dominicana, El Salvador e Nicaragua) che dal 2016 hanno deciso di riconoscere diplomaticamente la Repubblica Popolare Cinese, rompendo le relazioni con Taipei.

Taiwan perde pezzi

Taiwan, l'isola rivendicata da Pechino, si trova ormai riconosciuta da soli 13 Stati al mondo, compresa Città del Vaticano, unico partner ufficiale in Europa. Prima dell'annuncio di Castro, Taiwan aveva solo 14 alleati diplomatici, in calo rispetto ai 56 che aveva nel 1971, quando perse il riconoscimento da parte delle Nazioni Unite, e in diminuzione rispetto ai 22, da quando Tsai Ing-wen ha preso il timone del governo nel 2016.

E poiché la maggior parte dei rimanenti alleati di Taiwan sono piccole nazioni dell'America Latina e del Pacifico, molti analisti ritengono che è ormai solo una questione di tempo prima che questi Paesi (tra i più poveri al mondo) allaccino relazioni diplomatiche con Pechino. Sette Stati, più della metà dei 13 che hanno rapporti con Taipei, si trovano in America Centrale e nei Caraibi, al centro di un viaggio nei prossimi giorni della presidente di Taiwan, che farà anche due scali negli Stati Uniti - il maggiore partner di Taipei e fornitore di armi all'isola -. Tsai atterrerà in una visita non ufficiale a New York e Los Angeles, sulla via di andata e ritorno, mentre non trovano ancora conferma le voci di un incontro con lo speaker della Camera Usa Kevin McCarthy in California. Un incontro che potrebbe alimentare le tensioni tra le due superpotenze, sulla scia di quanto accaduto lo scorso agosto con la visita dell'allora speaker della Camera Nancy Pelosi a Taiwan.

La delicata trasferta della presidente di Taiwan viene preceduta da una storica visita in Cina di Ma Ying-jeou, ex presidente dell'isola dal 2008 al 2016 e figura di spicco dei nazionalisti del Kuomintang (KMT). Il suo viaggio (iniziato oggi 27 marzo) è visto come un tentativo di riscrivere la sua eredità politica: il soggiorno è apparentemente di natura privata, tanto che il suo ufficio ha precisato che l'ex presidente non si recherà a Pechino o vedrà il presidente cinese Xi Jinping, già incontrato brevemente nello storico faccia a faccia di Singapore a settembre 2015. La missione, però, è significativa sotto diversi aspetti: Ma è il primo ex leader taiwanese a visitare la Cina dalla fine della guerra civile cinese nel 1949. A meno di 10 mesi dalle elezioni presidenziali di Taiwan, Pechino sta aumentando la pressione su Taipei. E lo fa quindi anche dal punto di vista diplomatico.

Ad accogliere Ma Ying-jeou🇹🇼presenti Chen Yuanfeng (vicedirettore Ufficio per Affari di Taiwan del Consiglio di Stato🇨🇳), Zhang Wei (Partito di Shanghai), Sun Shengliang (liaison bureau Taiwan), Zhong Xiaomin (direttore Ufficio affari di Taiwan a Shanghai)https://t.co/AYSnLNhSp4

— Lorenzo Lamperti (@LorenzoLamperti) March 27, 2023

Il passaggio dell'Honduras a riconoscere diplomaticamente Pechino è il decimo caso di un Paese che ha deciso di rompere i legami con Taiwan in altrettanti anni, ovvero da quando al vertice della Cina c'è Xi Jinping. Con lo "switch" diplomatico, tre Paesi africani (Gambia, São Tomé e Príncipe e Burkina Faso) cinque centroamericani (Panama, Nicaragua, Repubblica Dominicana, El Salvador e, da oggi, Honduras) e due Stati insulari del Pacifico (Isole Salomone e Kiribati) hanno allacciato relazioni con Pechino.

Questi Paesi, che muovono la loro attenzione verso la Cina, abbracciano una formula che è ormai uguale per tutti: riconoscere la versione cinese del principio della "unica Cina", secondo il quale "esiste una sola Cina al mondo e il governo della Repubblica Popolare cinese è l'unico governo legale che rappresenta l'intera Cina e Taiwan è una parte inalienabile del territorio cinese", interpretazione riconosciuta e siglata ora anche da Tegucigalpa.