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La proposta di Salvini contro le bici e quel tweet che ne conferma l’approssimazione

Era il primo dicembre 2015, la Lega aveva ancora “Nord” nel proprio simbolo e Matteo Salvini, segretario federale del partito da circa due anni, pubblicava il seguente tweet, condito dall’hashtag #labicinonsitocca: «Intanto un senatore del PD ha proposto di mettere targa, e di far pagare il bollo, anche a proprietari di BICICLETTA. Matti!». Il parlamentare in questione, come spiega Pagella Politica nel suo consueto fact-checking, era Marco Filippi e a presiedere l’esecutivo era Matteo Renzi. 

Facciamo un lungo passo avanti e arriviamo a mercoledì 7 giugno 2023, quando il ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti – durante un question time alla Camera – ha annunciato l’obbligo di casco, assicurazione, targa e freccia non solo per i monopattini, ma anche per le biciclette. Salvini, da quando si è insediato il governo Meloni, ha più volte promesso una stretta sulla micromobilità elettrica (da rendere concreta nel nuovo codice della strada), ma il coinvolgimento dei mezzi a pedale è stato inaspettato: una vera doccia fredda. Tra le parole e i fatti c’è di mezzo il mare, ma la norma verrà (probabilmente) discussa a giugno e potrebbe – prima o poi – entrare in vigore. 

In otto anni sono successe tante cose, e la violenza stradale ha gradualmente scalato la gerarchia delle priorità. Cambiare idea è normale e fisiologico, anche in politica, ma quel tweet del 2015 conferma la confusione e l’approssimazione con cui il leader della Lega sta guidando un dicastero di estrema importanza, considerando il periodo storico in cui ci troviamo. In Italia, secondo l’Istat (dati 2021), gli incidenti sono la prima causa di morte (trentacinque per cento) tra i giovani della fascia d’età 15-29 anni, meno colpiti da tumori (tredici per cento) e suicidi (dodici per cento). 

Pian piano, tutti si stanno rendendo conto di quanto la mobilità sostenibile sia cruciale per riequilibrare i rapporti di forza sulle strade e rendere le città un posto più democratico, accessibile, sicuro. Tutti lo sanno, ma in pochi – a causa degli interessi delle aziende automobilistiche e di una cultura fondata sui mezzi a motore – vogliono ammetterlo. 

Da qualche anno stiamo assistendo a progressi incoraggianti, capaci di inviare un messaggio di speranza agli utenti più deboli della strada: scardinare il modello autocentrico, forse, non è una splendida utopia. Ridurre lo spazio e il potere delle auto non è ideologia, non è una demonizzazione, non è ambientalismo di facciata, ma un processo di democratizzazione che rifiuta la posizione dominante di uno dei tanti elementi dell’ecosistema urbano. 

Tuttavia, una presa di coscienza della politica rimane la condizione necessaria e sufficiente per cambiare la realtà. Invece, in Italia abbiamo un ministro dei Trasporti che, al posto di disincentivare l’uso del mezzo a motore privato, vuole migliorare la sicurezza sulle strade disincentivando la mobilità sostenibile e aumentando il limite di velocità in autostrada.

La violenza stradale viene trattata come una problematica incontrollabile, naturale: è più semplice, quindi, caricare i ciclisti di obblighi e responsabilità. Ricordiamo che, finora, nessun Paese europeo ha imposto l’obbligo del casco per i maggiorenni in monopattino. Solo in Germania sono obbligatorie sia l’assicurazione sia la targa, mentre in Francia serve solo la prima. La regolamentazione può avere conseguenze positive. Ma l’iper-regolamentazione, se va a strozzare delle soluzioni che andrebbero stimolate e agevolate, non è mai la formula risolutiva di un problema. 

La sterilità della stretta di Salvini sulle bici è confermata dalla posizione di Confindustria Ancma (Associazione nazionale ciclo motociclo accessori): «C’è forte preoccupazione a seguito delle dichiarazioni sulla riforma del Codice della strada rilasciate dal ministro delle Infrastrutture e trasporti, Matteo Salvini. In un comunicato diffuso in serata, l’associazione prende posizione contro la proposta di introdurre assicurazione, targa, casco e frecce obbligatori per le biciclette. Si tratta di misure che non vanno nella direzione di ottenere maggiore sicurezza, per la quale serve un impegno strutturale ed educativo a tutela di chi utilizza la bicicletta, che è un utente debole della strada». Non lo ha scritto Fiab (Federazione italiana ambiente e bicicletta), ma un’associazione sindacale che lavora con Confindustria.