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Ma quale seconda linea, a Torino  servono quattro linee di metro

La CITTÀ FUTURA

La provocazione dei costruttori subalpini mentre il Comune discute del nuovo piano regolatore: collegare il capoluogo con l'area metropolitana. E per riunire i vari uffici dell'amministrazione un Palazzo Unico sul modello del grattacielo regionale

Anche Torino dovrebbe avere il suo Palazzo Unico, una struttura in grado di ospitare gli uffici che regolano lo sviluppo della città, quindi Edilizia, Urbanistica, Lavori pubblici, Ambiente, Industria e Commercio. Un unico stabile che eviti l’attuale dispersione tra Palazzo civico, via Corte d’Appello, via Meucci solo per citarne alcuni. A proporlo è Antonio Mattio, presidente dell’Ance – l’Associazione costruttori edili – di Torino. Un intervento durante i lavori dei tavoli dedicati alle “Aree di trasformazione” e alle “Trasformazioni del tessuto” voluti dal Comune di Torino per discutere del nuovo piano regolatore nell’ambito dell’iniziativa “Torino cambia: un piano per la Città”.

Non solo: Mattio si spinge molto più in là vedendo una città del tutto rivoluzionata rispetto all’attuale, cioè la realizzazione di quattro linee di metropolitana che connettano non solo il territorio cittadino, ma che si innestino con i principali comuni dell’area metropolitana e dello stesso Palazzo Unico che dovrebbe essere uno spazio tecnologicamente avanzato e sostenibile come il grattacielo della Regione che proprio in questi giorni sta osservando l’ultima fase del trasloco di personale e staff. “E perché non pensare di realizzare il nuovo Palazzo Unico nell’area del terzo grattacielo di Spina 2 o al tanto discusso Palazzo del Lavoro?” propone Mattio. Una idea che peraltro era già stata accarezzata dal sindaco Piero Fassino durante il suo mandato, ma poi subito accantonata per motivi di budget e di altre emergenze che incombevano: quel progetto sarebbe costato 36 milioni solo di diritti edificatori, cui aggiungere il costo di costruzione e così l'allora sindaco decise di soprassedere.

Secondo il numero dei costruttori edili torinesi occorre un’innovazione culturale che permetta di passare dal concetto di Piano regolatore generale a un Piano di sviluppo – dice Mattio –. Un cambio di visione che non tema di abbandonare le vecchie regole in favore di una visione di sviluppo capace di intercettare i nuovi ambiti industriali in crescita, come quello dell’aerospazio o biomedico, i capitali economici e le nuove esigenze abitative. Pensiamo a un piano che sappia guardare non solo alle norme edilizie e alle specificità tecniche in quanto tali, ma che sappia recepire ed esaltare gli stimoli della città in tutte le sue componenti”.

Nelle proposte di Mattio due concetti fondamentali: quello di democrazia urbanistica, intesa come la possibilità di avere delle regole per costruire più vicine alle esigenze della collettività, reattive ai bisogni dell’economia reale e alle richieste di mercato, e la sostenibilità come qualità del vivere.

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