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Marcucci: “Un terrorista nero firma dell’Unità. Scempio sul giornale di Gramsci”

La firma di Valerio Fioravanti sull’Unità? “È come chiedere a Dracula un commento sui rapimenti dei bambini e più che gridare allo scandalo, vorrei denunciare l’illogicità di un’operazione del genere. Quale autorevolezza può avere questo signore per parlare di Guantanamo e perché mai la sua firma deve comparire sotto una testata come l’Unità?”.

Parla l’ex caporedattore dell’Unità, Luigi Marcucci: “Da Sansonetti e Romeo un’operazione squallida”

Luigi Marcucci nel giornale fondato da Antonio Gramsci ha trascorso trentaquattro anni della sua vita professionale. Arrivato nella redazione di Bologna dell’Unità da Milano nel 1983, sarebbe in seguito diventato caporedattore dell’edizione emiliana, ma soprattutto dal 1986 avrebbe cominciato a seguire la cronaca giudiziaria, occupandosi principalmente proprio della strage della stazione del 2 agosto 1980 per la quale Valerio Fioravanti, insieme a sua moglie Francesca Mambro, è stato condannato in via definitiva all’ergastolo nel 1995.

Che impressione le ha fatto leggere la firma di Valerio Fioravanti sul suo ex giornale?
“Quando ho saputo che l’Unità riportata in edicola da Piero Sansonetti aveva pubblicato un suo articolo sono rimasto molto impressionato. Il giornale, per tutti gli anni che ci ho lavorato, non ha mai assunto una posizione colpevolista o innocentista rispetto a Fioravanti, la nostra era la posizione di chi seguiva il processo passo per passo, cercando di darne conto e soprattutto dribblando i vari depistaggi che coinvolgevano anche l’informazione. Il nostro era un lavoro molto impegnativo, non facile per i tentativi di inquinamento delle indagini da parte dei servizi segreti, bisognava stare attenti alle trappole”.

Parla al plurale. Come mai?
“La complessità del processo 2 agosto è stata raccontata da molti giornalisti dell’Unità, io sono stato l’ultimo, ma voglio ricordare Roberto Scardova, che fu uno dei primi giornalisti ad arrivare sul luogo dell’attentato, Ibio Paolucci, Giancarlo Percacciante e Angelo Scagliarini. Ibio e Angelo non ci sono più ed è triste dover pensare che è meglio così, almeno non hanno avuto la sfortuna di vedere lo scempio della firma di Fioravanti sull’Unità”.

Ha sentito qualcuno dei suoi ex colleghi?
“Sono in contatto con diversi ex colleghi del giornale e le reazioni all’articolo di Fioravanti per la maggior parte sono state di rabbia e indignazione, anche perché non riusciamo a capire il senso dell’operazione: a questo punto perché non chiedere a Franco Freda un articolo sull’ergastolo ostativo o ai fratelli Graviano un saggio sulle riforme costituzionali? Sarebbe la stessa cosa. La scelta di pubblicare Fioravanti è una offesa del tutto gratuita anche ai familiari delle vittime”.

Fioravanti però insiste nel dire che lui con la strage del 2 agosto 1980 non c’entra…
“Lui ha sempre usato il fatto di essere reo confesso di alcuni degli omicidi attribuitigli per dire ‘ah, ma se la strage l’avessi fatta io, l’avrei confessata’. Lui e la Mambro l’avevano adottata come linea difensiva, un po’ deboluccia a mio parere, tant’è che fu cassata dai giudici. Sta di fatto che le loro richieste di revisione del processo, spesso annunciate, non sono mai pervenute, evidentemente perché gli elementi a loro favore erano piuttosto evanescenti”.

Fioravanti scrive sull’Unità in virtù della scelta del giornale di dare spazio all’associazione Nessuno tocchi Caino nella quale l’ex terrorista nero è impegnato. Può ritenersi una giustificazione?
“Su Guantanamo avrebbe avuto sicuramente più senso una intervista a Luigi Manconi. Se potessi, chiederei al direttore dell’Unità riportata in edicola dall’imprenditore Alfredo Romeo, di lasciare in pace questa testata, di smetterla con questa operazione, che è di cattivissimo gusto. E anche Antonio Gramsci andrebbe lasciato in pace, il suo nome accostato a quello di uno stragista, francamente mi sembra un’operazione squallida”.

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