Domani il viaggio a Tunisi con von der Leyen e Rutte. La Tunisia disposta a gestire i rimpatri per conto dell’Europa. I dettagli del nuovo patto sull’immigrazione e sull’asilo. Ecco perché la premier sta dando il meglio di sé in politica estera

La premier Giorgia Meloni (Ansa)
Anche fermare una nave cargo turca finita in mano a una dozzina di clandestini che si erano imbarcati di nascosto è politica estera. Oltre che Difesa del territorio italiano (la nave in quel momento era in mare a sud di Napoli destinazione Francia) e dei confini europei. E’ stato il ministro della Difesa Guido Crosetto a raccontare i dettagli di quando stava accadendo ieri pomeriggio mentre Bruno Vespa lo intervistata nel format pugliese e in masseria di Porta a Porta. “E’ intervenuta la nave militare San Marco, i clandestini che avevano preso il comando del cargo tenendo in ostaggio l’equipaggio sono stati disarmati e arrestati” spiegava il ministro. Aggiungendo che l’operazione dimostra cosa voglia dire presidiare i confini europei e combattere l’immigrazione clandestina. Due temi che nell’ultima settimana sono stati protagonisti e che s’incrociano fortemente con la campagna elettorale per le Europee del giugno prossimo. Tra un anno esatto, infatti, sapremo se l’Europa avrà una nuova maggioranza di centro-destra dove il Ppe, la più grande famiglia politica europea, deciderà - risultati alla mano - se spostarsi verso destra lasciando perdere dopo decenni la grosse koalition con il Pse e la sinistra. Operazione che vede come protagonisti Giorgia Meloni, unico leader di destra dell’unico paese fondatore della Ue oltre che presidente del partito dei Conservatori; Manfred Weber, leader del Ppe in questi giorni a Roma per una due giorni -giustappunto - sul futuro politico dell’Europa; e anche Matteo Salvini, protagonista suo malgrado in questi giorni perché i rapporti con Meloni sono ridotti al lumicino e perché Weber ha messo in chiaro che il Ppe non potrà mai allearsi con gli estremisti, a destra e a sinistra. A destra sta Salvini che a Strasburgo è nel gruppo di Le Pen (Identità e Democrazia). A sinistra-sinistra rischia di andare il Pd, uno dei principali componenti del Pse europeo.
Il meglio in politica estera
Inquadrato il tema nel suo insieme, occorre riconoscere che Giorgia Meloni sta dando il meglio di sé in politica estera. L’ultima settimana, che avrà domani a Tunisi un nuovo passaggio importante, ne è un buon esempio. Mentre il Presidente della Repubblica metteva cerotti sui numerosi autogol compiuti in questi mesi con la Francia - il caloroso e complice abbraccio di Mattarella con Macron davanti alla sagome del Louvre è un’immagine potente - la premier si è mossa individualmente e senza risparmiarsi sul dossier più difficile: l’immigrazione. Seguendo due linee: lei è andata o ha ricevuto a palazzo Chigi i leader dei due paesi - Tunisia e Libia - che con le loro fragilità interne stanno favorendo partenze massicce di migranti che hanno portato gli sbarchi in Italia a 54 mila unità da gennaio a oggi (156%), ha curato cioè i confini esterni dell’Italia e dell’Europa perché “le migrazioni vanno regolate alle partenze e non agli arrivi”. Contemporaneamente la lenta e impacciata Europa doveva definire questa settimana l’ennesima puntata del “Piano Immigrazione e asilo”: superare Dublino, garantire le redistribuzioni, tra obbligo e solidarietà, trovare una soluzione ai rimpatri per chi non ha diritto di restare, organizzare canali di ingresso regolare per coprire la forte richiesta di mano d’opera per il continente Europeo, proteggere i paesi di frontiera dal pressing migratorio e quindi i confini dell’Europa. E’ dal 2013 che l’Europa prova a dare una svolta a questa “partita” ma i veti incrociati hanno sempre impedito anche solo tentativi di via d’uscita.
Una partita delicata
L’Italia giocava una partita molto delicata: un governo di destra alleato in Europa con Polonia, Ungheria e gli altri paesi sovranisti del gruppo Visegrad che da sempre però intendono la soluzione del problema solo alzando muri. Con un doppio colpo di reni, forse bluffando o forse no, Meloni ha avuto il coraggio di non seguire i suoi alleati europei, ha tenuto il punto impostando comunque la trattativa con Tunisia e Libia (sapendo di avere con sè Grecia, Malta e Spagna alla guida del prossimo semestre Ue), e ha strappato un accordo di massima tra la maggior parte dei paesi europei che per la prima volta sembra muoversi nella giusta direzione. Certo il cammino di approvazione è ancora lungo, l’efficacia operativa e i tempi non sono immediati per vedere la svolta proposta dalla presidente della Commissione Ursula von der Leyen con il suo “Piano immigrazione e asilo” riveduto e corretto. I prossimi sei mesi, con la presidenza spagnola ci diranno la verità sulle novità di questi giorni.
Ma se proviamo ad osservare dall’alto, aver ufficializzato che il Mediterraneo è il confine europeo, portare Tunisia e Libia ad essere the main dossier a Bruxelles, aver fatto blocco con la maggioranza dei paesi Ue per rivedere le regole dell’asilo e del soggiorno (ed aver mollato al proprio destino gli alleati storici) sono le tre cose migliori che Giorgia Meloni potesse fare. Quasi che avesse ascoltato, almeno in parte, la lunga e sempre profonda intervista che l’ex premier e presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato ha rilasciato a Repubblica. “Meloni rinunci ad una deriva anti Ue e rompa con Orban” è stato il consiglio non richiesto di Amato. L’intervista è uscita giovedì mattina. Giovedì sera è successo. Ma sono solo coincidenze. Piacevoli, per una volta.
I quattro punti chiave dell’accordo
Il testo di compromesso ha avuto due protagoniste, la svedese Maria Malmer Stenergard, presidente di turno, e la commissaria europea agli Affari interni, Ylva Johansson. L’Italia, con il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ha ottenuto una lunga serie di modifiche nel compromesso finale. Due soprattutto: i rimpatri potranno essere fatti nei paesi terzi se garantiscono la tutela dei diritti civili; i paesi del sud Europa non diventeranno il campo profughi dell’Europa perché non saranno pagati per tenersi i migranti economici. Il testo approvato costituisce ora la posizione comune del Consiglio Ue che ora su questa base dovrà negoziare con il Parlamento europeo per arrivare al testo definitivo di ben due regolamenti: le procedure per l’asilo (Apr) e la gestione dell'asilo e dell’immigrazione (Ammr). Sono quattro, in estrema sintesi, i punti chiave dell’accordo. Il primo: viene istituito un meccanismo di “solidarietà obbligatoria” per cui gli Stati membri dovranno scegliere se accettare di ricollocare sul loro territorio una quota di richiedenti asilo (diversa per ogni paese a seconda del suo Pil e della sua popolazione) arrivati nei paesi di primo ingresso; in alternativa possono fornire un contributo finanziario pari a 20.000 euro per ogni migrante previsto nella propria quota e non ricollocato.
Il secondo: l’Italia ha chiesto e ottenuto che il contributo di solidarietà non vada ai paesi di primo ingresso (nei fatti saremmo diventati un campo profughi) ma confluisca in un Fondo comune Ue (ancora da istituire e gestito dalla Commissione europea) che dovrà essere impiegato nella “dimensione esterna” della gestione del fenomeno migratorio, ossia per accordi con i paesi di origine e di transito dei migranti e per finanziare in loco alcune infrastrutture. “Abbiamo rifiutato ogni possibile compensazione in denaro, perché non ritenevamo che la dignità del nostro paese potesse mettere in campo soluzioni di questo tipo” ha sottolineato Piantedosi. Il rischio è stato altissimo e quella soluzione non poteva essere in alcun modo accettabile.
Il terzo punto più importante dell'accordo è quello, su cui hanno premuto soprattutto i paesi del Nord Europa, sulla stretta delle misure di controllo alle frontiere esterne. I paesi di primo ingresso dovranno registrare entro 24 ore tutti i migranti irregolari in arrivo, e avranno poi 12 settimane per fare tutte le procedure di concessione dell’asilo, e altre 12 settimane per attuare i rimpatri dei migranti la cui domanda d'asilo non avrà avuto esito positivo. Il meccanismo potrà essere sospeso se i numeri dei richiedenti dovessero essere superiori ai 60 mila.
I rimpatri nei paesi terzi
Il quarto punto, la questione che ha richiesto il negoziato più lungo e difficile della giornata: la possibilità, per gli Stati membri di primo ingresso, di riportare rapidamente non solo nei paesi di origine, ma anche in quelli di transito i “migranti economici” arrivati irregolarmente alle frontiere dell'Ue e che non hanno diritto all’asilo. I paesi terzi devono essere ritenuti “sicuri” riguardo al rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. Ad esempio la Tunisia sarà un paese terzo. Peccato che il Fmi non voglia erogare il prestito di 2 miliardi proprio in funzione della svolta autoritaria del presidente Saied.
Il no di Orban e della sinistra
Diciamo subito che i punti deboli di questo accordo sono evidenti: a cominciare dai tempi per valutare se il migrante ha diritto ad un permesso (in Italia si impiega fino a 2-3 anni; qui si prevede al massimo sei mesi) e i rimpatri nei paesi terzi. Ungheria, Polonia e altri quattro paesi hanno detto no a tutto. Anche la sinistra italiana è molto critica. Cauto il Pd. “Fondamentale che Meloni abbia scelto una strada diversa da Orban e Morawiecki. Alla fine Meloni capitola e abbandona Visegrad” ha sottolineato Lia Quartapelle del Pd. Il compromesso è avere tante piccole Turchie a sud dell’Europa, cioè in Africa.