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Ndrangheta stragista, Graviano: “Sui soldi dati a Berlusconi la procura di Firenze conferma le mie parole”

Torna a parlare Giuseppe Graviano. Imputato al processo d'appello 'Ndrangheta stragista, che già in primo grado ha provato la partecipazione dei clan calabresi alla strategia stragista ed eversiva degli anni Novanta tesa a individuare interlocutori politici affidabili, trovati poi nella neonata Forza Italia - dopo aver assistito sostanzialmente in silenzio a tutto il processo d'appello, prende la parola poco prima che i giudici della Corte d'Assise d'appello si chiudano in camera di consiglio.

E come sempre, più che alla Corte, al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo e alle parti che lo ascoltano, i messaggi del boss di Brancaccio sembrano diretti all'esterno, dove stanno quegli "imprenditori del Nord" a cui fin dagli anni Ottanta sarebbero arrivati i soldi della sua e di altre famiglie siciliane.

In primo grado aveva dato loro un nome. Rompendo un silenzio durato decenni, Graviano aveva puntato il dito contro Silvio Berlusconi, accusato di aver incassato quel denaro senza mai restituirlo. "Ed è stato riscontrato qualche giorno fa - dice Graviano -  perché tutti abbiamo accesso ai mezzi di informazione, la procura di Firenze ha riscontrato quello che ho detto io".

Sotto la lente dei magistrati fiorentini sono finite strane e al momento ingiustificabili transazioni finite in pancia alle aziende di Berlusconi a partire dagli anni Ottanta. Un periodo assolutamente compatibile con quello indicato da Graviano, secondo il quale esisterebbe "una carta" - così l'ha definita - in passato in possesso di un cugino morto qualche tempo fa, che confermerebbe i trasferimenti.

È il messaggio chiave dell'intervento di Graviano, che per il resto ricalca sostanzialmente quello del primo grado, durante il quale aveva pronunciato una sorta di arringa in sua difesa citando processi, sentenze, provando a smentire le dichiarazioni dei collaboratori: l'odiatissimo Gaspare Spatuzza, Gioacchino Pennino, Fabio Tranchina. E ancora una volta, in sua difesa, tira in ballo Alberto Di Pisa, il magistrato accusato di essere il Corvo di Palermo che gettava ombre su Giovanni Falcone e altri, che dopo l'assoluzione ha attribuito quella campagna di fango al pentito Totuccio Contorno e a chi a suo dire avrebbe voluto proteggerlo. Una teoria che Graviano ha più volte rievocato in aula nel corso del processo, ma mai ha trovato conferma né nei processi, né nelle dichiarazioni dei collaboratori.

Si racconta vittima di un complotto, Graviano. A dispetto delle tante sentenze definitive che lo hanno condannato, non è sua - sostiene - la responsabilità delle stragi. Anche il suo arresto sarebbe stato telecomandato da altri. "Io ero latitante, quel giorno avevo fatto shopping, mi ero provato dei vestiti", racconta. Poi l'rrivo dei carabinieri, a sorpresa, al ristorante "seguendo due che poi sono diventati collaboratori", dice il boss gettando ombre su quella operazione, arrivata - aveva spiegato in primo grado - alla vigilia dell'ennesima programmata riunione con Berlusconi, durante la quale avrebbe dovuto restituirgli i soldi che i siciliani avevano versato.

"Quando sono stato arrestato, la notizia è uscita in televisione: 'arrestati i due fratelli Graviano'", ricorda il boss, all'epoca subito identificato a differenza del fratello. "Per questo io ho chiamato a casa e ho detto a mio fratello Filippo, vieni a salutare la mamma. I carabinieri non lo sapevano chi era, ma qualcuno ha dato la notizia all'emittente". Una circostanza inedita, che mai aveva citato nel corso delle sei udienze del primo grado in cui ha fatto sentire la sua voce. Magari uno spunto per approfondimenti in futuro. A Reggio Calabria è il momento della sentenza. La pronuncia è attesa nel tardo pomeriggio.