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"Nordio non è più garantista", e gli avvocati scioperano contro di lui per tre giorni

ROMA - Questa, Carlo Nordio, non se l'aspettava proprio. Uno sciopero dei magistrati ci poteva pure stare, ma uno degli avvocati delle Camere penali, e addirittura per tre giorni, è proprio uno schiaffo. Per giunta un'astensione annunciata giusto nel giorno in cui, in visita alla cittadella della giustizia di Bari, Nordio in uno dei suoi frequenti amarcord autobiografici, ricorda di essere "figlio di avvocati", ma aggiunge subito che è, e resterà, "sempre un magistrato". E aggiunge con enfasi: "Esprimo la mia venerazione verso la toga che ho indossato per 40 anni, incondizionata e affettuosa".

Tant'è. Gli avvocati capitanati dal bellicoso Gian Domenico Caiazza, il patron della legge d'iniziativa popolare sulla separazione delle carriere, devono aver avvertito che la bilancia di Nordio pende inesorabilmente dalla parte dei magistrati. Tant'è che lanciano uno sciopero decisamente pesante sul piano dell'immagine contro un governo che sin dal suo insediamento ha fatto professione verbale di garantismo attraverso le parole di Nordio. "Professione verbale" appunto, perché nei fatti anche in via Arenula - secondo l'Unione delle camere penali - starebbe prevalendo il giustizialismo di destra del sottosegretario Andrea Delmastro piuttosto che il garantismo di Nordio e di Sisto.

Ma ci sarebbe un detonatore per scatenare la protesta degli avvocati che hanno deciso di fermarsi dal 19 al 21 aprile. Certo deve aver indispettito Caiazza, uomo dal carattere fumantino, la promessa più volte confermata da Nordio in persona di affidargli un tavolo di confronto in via Arenula per mettere mano ad alcune parti della legge Cartabia sul processo penale che vanno di traverso ai legali. Per esempio le nuove regole sulle impugnazioni, assai macchinose e del tutto indigeste per la categoria forense. Ma prometti oggi e prometti domani il benedetto tavolo - che avrebbe visto proprio Caiazza al vertice - non s'è ancora fatto. 

Ma c'è dell'altro. Di certo la frenata parlamentare sulla separazione delle carriere, cioè la legge di Caiazza e dell'Ucpi, che langue tristemente nella commissione Affari costituzionali di Montecitorio. Congelata nella scorsa legislatura - ma non era certo quella l'aria politica giusta per farla andare avanti - meritava il rilancio in questa, e gli avvocati ne erano convinti. E invece niente, è al palo. Come ha denunciato Enrico Costa di Azione giusto due settimane fa in una mozione che è stata anche approvata dall'aula di Montecitorio. Della serie "le iniziative garantiste dormono". Come il ritorno al passato per la prescrizione, lo stop alle intercettazioni, la fine per sempre dell'appello per il pm che perde il processo, un vero rilancio della presunzione d'innocenza mentre invece i pm continuano a parlare dello loro inchieste.  

E poi le pene durissime decise proprio dal governo Meloni che non piacciono affatto agli avvocati. Che infatti le citano nel comunicato con cui annunciano lo sciopero. Scrivono che mentre il governo è prono "ai diktat della magistratura" nella linea governativa c'è "carcere, carcere, carcere, ogni qual volta la cronaca e la ricerca del consenso ispirano e sollecitano il peggiore populismo penale". Parlano ovviamente del decreto Rave, del reato universale contro gli scafisti dopo Cutro, adesso del reato universale per l'utero in affitto, e pure dell'ipotesi di cancellare il reato di tortura. 

Appunto, il governo Meloni non è garantista, è protagonista di un forte giustizialismo di destra che produce sempre più carcere. E gli avvocati non ci stanno. E scioperano contro Nordio e contro le toghe di via Arenula che, giusto come dice Costa, considerano all'origine di questa linea anti avvocati.