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Tempi lunghi, costi e divieti: la zavorra delle fonti pulite

In Italia ci sono 315 GW di richieste di connessione alla rete in alta tensione per nuovi impianti da fonte rinnovabile (Fer), quasi 4 volte il fabbisogno necessario al nostro Paese per centrare l’ambizioso target 2030 indicato dalla Commissione europea nel piano RepowerEU. Target che, con la revisione del Pniec (Piano nazionale energia e clima), si tradurrebbe per il settore elettrico nazionale nell’obiettivo di raggiungere più 85 GW di Fer. O forse una quota addirittura superiore, stando alle previsioni del ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Gilberto Pichetto Fratin.

Il dato spicca nella piattaforma digitale Econnextion di Terna, la società che gestisce la rete di trasmissione elettrica nazionale, da cui emerge che al 31 settembre 2023 sono 5.138 le “pratiche” in attesa di essere approvate. La maggior parte dei progetti (136 GW, 43,19%) riguarda il fotovoltaico, a seguire eolico offshore (90 GW) ed eolica onshore (89 GW). Numeri alla mano, esiste quindi un ampio margine di intervento in Italia per raggiungere gli obiettivi Ue sulle energie pulite. Il problema è che oggi quel traguardo resta davvero un miraggio perché a rimanere fermi sono i grandi impianti Fer, quelli che sulla carta dovrebbero fare la differenza e consentirci di raggiungere l’obiettivo europeo.

“La verità è che siamo entrati in una sorta di circolo vizioso, visto che gli impianti che vengono autorizzati ora fanno riferimento, nella migliore delle ipotesi, a domande presentate non meno di 3 o 4 anni fa. Una volta ottenuta l’autorizzazione questi impianti dovrebbero partecipare ad un’asta (quella gestita dal Gse, ndr) per determinare la remunerazione dell’energia venduta. Quindi, sempre nella migliore delle ipotesi, c’è ancora un anno di tempo per avere l’impianto realizzato ed in funzione”, risponde Davide Chiaroni, vicepresidente di Energy&Strategy Group del Politecnico di Milano.

In più, durante questo lasso temporale, sono successe tante cose. E purtroppo non sono positive per il nostro Paese. “Innanzitutto, è cambiato significativamente il prezzo dell’energia sul mercato: oggi i 60 euro circa previsti ad asta non sono poi così appetibili (il Pun medio è stato di 125 euro nel 2021, 303 euro nel 2022, ed è nel 2023 stabilmente sopra i 100 euro)”, premette Chiaroni. “Poi, è cambiato sempre in modo significativo il costo dei materiali e componenti per le tensioni sui materiali critici, che è ancora un’onda lunga dello shortage che abbiamo sperimentato durante la pandemia. Inoltre, è cambiata la disponibilità finanziaria degli investitori che, nella lunga attesa, hanno deciso di investire altrove (in un altro Paese, ad esempio) quanto avevano inizialmente destinato al nostro. Se non ‘rompiamo’ questo circolo vizioso, agendo sia sui tempi che sui valori in gioco, difficilmente vedremo crescere gli impianti di taglia grande nel nostro Paese”, sottolinea il vicepresidente di E&S Group.

La diretta conseguenza di queste criticità si traduce in una scarsa partecipazione alle aste bandite da Terna per i grandi impianti. Stando ai dati del Polimi, relativi a luglio 2023, il coefficiente di saturazione per le aste negli ultimi 4 bandi non ha mai superato il 30%, lasciando un inoptato di quasi 1,5 GW. “La situazione è andata peggiorando. L’ultimo bando in ordine di tempo, il dodicesimo, di cui abbiamo avuto i risultati a ottobre, mostra, per gli impianti di grande taglia, che su 1.300 MW di contingente disponibile sono stati assegnati dopo le rinunce soltanto 58 MW (4,4%)”, dice Chiaroni.

Al netto dei ritardi cronici degli iter autorizzativi, a pesare sugli investimenti è anche l’ostacolo del divieto di accumulo. Di fatto, oggi la legge impedisce al distributore di energia di stoccare quella prodotta da fonti rinnovabili. Vuol dire che, quando c’è molto sole o vento e si produce più energia di quella che serve, quella in eccesso si butta via, causando da una parte un mancato ritorno sull’investimento, e dall’altra una riduzione della quantità di energia disponibile. “Lo storage è sicuramente una delle opportunità che chi realizza impianti di questo tipo vorrebbe cogliere, soprattutto in uno scenario tendenziale a prevalenza di rinnovabili non programmabili e (forse) anche con la possibilità di produrre idrogeno verde, e quindi questo vincolo certo non incoraggia gli investimenti. Tuttavia, se come dicevo prima, l’energia prodotta fosse adeguatamente remunerata, questo tema potrebbe essere messo in secondo piano. E parimenti non credo che la sola rimozione di questo vincolo abbia un impatto significativo sul sistema”, puntualizza il vicepresidente di E&S Group.

A questo punto, qual è il passo che il nostro Paese deve tenere da qui al 2030 per raggiungere gli ambiziosi obiettivi Ue? “Dovremmo installare tra i 6,5 e i 7,8 GW di fotovoltaico e tra i 2,1 e 2,9 GW di eolico per restare al passo. Stando ai dati parziali del 2023 potremmo arrivare attorno ai 4 – 4,5 GW complessivi di installazioni, quindi meno della metà di quello che dovremmo fare”, conclude Chiaroni.