VENEZIA. Mercoledì sera l’isola di Pellestrina accenderà una candela per Bruno Modenese, l’ex pescatore di 45 anni morto all’Ospedale Civile di Venezia in circostanze ancora da chiarire. Una fiaccolata di amici, conoscenti e associazioni per chiedere di fare luce sul decesso dell’uomo, entrato in Psichiatria per sua volontà il 16 settembre perché si sentiva confuso e non dormiva da giorni. La famiglia lo ha trovato con il volto tumefatto e l’elettroencefalogramma piatto lunedì 18. Il giorno dopo non c’è stata altra scelta per la mamma Marilena, il papà Sergio e i fratelli Emanuele e Marco di donare i suoi organi «perché almeno continuasse a vivere e portare il suo sorriso in altre persone».


Bruno Modenese
Due infermieri indagati
Per l’azienda sanitaria Serenissima la causa della morte è stata un arresto cardiaco, ma com’è avvenuto? Il naso e uno zigomo rotti e un edema cerebrale hanno scioccato la famiglia che teme che Bruno possa essere stato picchiato fino a ucciderlo. Lunedì sera la pm Daniela Moroni ha iscritto nel registro degli indagati i nomi di due infermieri di 19 e 45 anni, entrambi residenti nel Veneziano. L’ipotesi di reato è omicidio preterintenzionale. Tradotto: qualcuno potrebbe averlo picchiato al punto da causargli danni irreparabili alla testa. Martedì nel Tribunale di Venezia la pm ha conferito l’incarico di eseguire l’autopsia alla medico legale Barbara Bonvicini e allo specialista maxillofacciale Guido Bissolotti per fare luce sui motivi del decesso. I legali della famiglia Modenese (Augusto Palese, Renato Alberini e Gian Luca De Biasi) e quelli dei due infermieri (Andrea Bonaccorso e Luca Mandro) hanno nominato a loro volta dei periti. La famiglia vuole sapere la verità, conoscere nel dettaglio ogni passaggio e ricostruire le responsabilità. Il 5 ottobre sarà eseguita l’autopsia.
"Non potete vederlo”
Emanuele Modenese racconta che fino all’ultimo è stato negato alla famiglia di vedere Bruno, ricoverato 19 anni fa e poi da quel momento seguito dall’Igiene Mentale del Lido di Venezia dove si recava ogni tre o quattro mesi. Religioso al punto di avere la camera tappezzata di santini, Bruno era una presenza nota nell’isola. «Gli volevano tutti bene e lo dimostra l’affetto che stiamo ricevendo in questi giorni» prosegue il fratello Emanuele. «Se c’era da dare una mano lo faceva, aveva degli amici e fino a qualche anno fa era proprietario di una barca con due dipendenti. Poi i pensieri erano troppi e aveva deciso di lasciare il lavoro. Non ci capacitiamo di quello che è successo. Vogliamo la verità».
L’infermiere indagato: “Io non ho fatto nulla”
Intanto uno dei due infermieri indagati, quello di 45 anni, ha parlato per mezzo dell’avvocato Mandro: «Il mio assistito è rimasto stupito quando ha saputo di essere indagato, ma confida che ci saranno dei testimoni che possono dichiarare che non ha fatto nulla», spiega il legale. «Ha raccontato che quando Bruno Modenese è arrivato gli hanno proposto di fargli una puntura. Inizialmente non voleva e ha fatto uno scatto violento verso il medico, la guardia giurata e un operatore sanitario. Lui non ha fatto altro che mettersi tra loro e il paziente, ma senza usare violenza, come potranno confermare le persone che erano presenti». Dalla ricostruzione dell’infermiere, dopo quel momento di tensione il paziente si è comunque fatto fare l’iniezione e la situazione è tornata sotto controllo.
“Domenica mattina l’inizio di un incubo”
Come si spiega allora il volto fratturato e l’edema cerebrale che lo hanno ridotto al punto di essere ricoverato in Rianimazione? Domenica mattina il papà Sergio Modenese si reca all’Ospedale Civile per portare la borsa con la biancheria e le sigarette al figlio, ma non glielo fanno vedere. «Da quel momento inizia un incubo perché non riusciremo più a vedere Bruno», prosegue il fratello Emanuele. «Dopo continue insistenza lunedì ci dicono che è nel reparto di Terapia intensiva perché non respirava bene ed era stato intubato». Quando il fratello riesce a vedere Bruno rimane scioccato. Il suo volto è spaccato ed è irriconoscibile. «Mi hanno detto che era probabilmente caduto in bagno e ho chiesto la cartella clinica, ma invano». Questo passaggio sarà uno dei tanti da chiarire perché i pazienti psichiatrici non dovrebbero mai essere lasciati soli, proprio per evitare possibili cadute o gesti autolesionistici. «Se mettiamo caso fosse davvero caduto, perché non ce l’hanno detto subito?», si domanda la famiglia.
Le dichiarazioni dell’azienda ospedaliera
L’azienda sanitaria difende il suo personale con una lunga nota che conclude sottolineando che, nel caso in cui le indagini arrivino a evidenziare azioni non coerenti con i protocolli di gestione del paziente complesso, potrebbe lei stessa costituirsi parte civile nel caso di un processo. «Mentre si svolgono le verifiche e le indagini sul decesso del paziente Bruno Modenese», scrive l’azienda «l’Ulss 3 Serenissima evidenzia come ogni suo operatore sanitario, ancor più se agisce nell’ambito dell’emergenza urgenza, nell’ambito pediatrico, nell’ambito psichiatrico e nell’ambito neuropsichiatrico, è formato e preparato alla gestione di pazienti fragili che, con le loro azioni, possono risultare in particolari circostanze, dovute alla loro patologia, un pericolo per sé stessi e per gli altri, ed è in grado quindi di aderire a tutte le linee guida nazionali e internazionali in merito alla gestione dei pazienti complessi nei propri luoghi di cura. Si tratta di protocolli di tutela e sicurezza del paziente fragile mirati a disinnescare l’escalation di criticità sia verbale che fisica nei confronti di sé stessi, o degli altri pazienti, o dei sanitari».
La commissione interna
L’azienda, che già ha aperto una commissione interna (Audit) per comprendere i diversi passaggi, conclude dicendo «di avere fiducia nelle valutazioni della magistratura a cui consegnerà anche gli esiti delle verifiche effettuate dalla Commissione interna da subito istituita dalla Direzione dell'azienda sanitaria».